Calogero Palumbo Piccionello è stato ancora alla ribalta della cronaca, suo malgrado, lo scorso 8 febbraio, perché a Favara, nel cimitero comunale, è stata danneggiata la sua tomba. Sono stati i familiari, in visita al cimitero di Piano Traversa, ad accorgersi dei danneggiamenti, denunciati poi alla Tenenza dei Carabinieri di Favara. Adesso probabilmente davvero una pietra tombale è riposta sul caso dell’imprenditore ucciso a 65 anni di età il 28 novembre del 2012. Infatti, la Cassazione, accogliendo quanto invocato dalla Procura Generale, ha confermato e ha reso definitiva la sentenza di condanna a 30 anni di reclusione a carico dell’imputato reo confesso, Antonio Baio, 75 anni, emessa dalla Corte d’Appello di Palermo il 9 novembre del 2015. E la Corte d’Appello già confermò la sentenza di primo grado, sfornata dal Tribunale di Agrigento il 15 maggio del 2014 a conclusione del giudizio abbreviato. Antonio Baio, difeso dagli avvocati Antonio Mormino, Franco Coppi e Giovanni Castronovo, è stato inoltre condannato al risarcimento dei danni ai familiari della vittima, parte civile, costituiti in giudizio tramite gli avvocati Nino e Vincenza Gaziano, e Gaetano Airò. Antonio Baio è a piede libero dall’aprile del 2014, prima della sentenza di primo grado, per decorrenza dei termini di custodia. Da oggi in poi lo attende l’espiazione della pena. La tarda sera del 28 novembre 2012, Calogero Palumbo Piccionello, “Re” delle sale giochi in provincia di Agrigento, conosciuto amichevolmente come “Lillu Picciuni”, fu sorpreso in via Napoli e ucciso da 4 colpi di pistola. Poco dopo, Antonio Baio si presentò alla Caserma della Tenenza dei Carabinieri, in Corso dei Mille. E lui, Baio, ha confessato: “Sugnu ccà, ammazzavu a unu. Ci detti na chiummata. Io non vi dico niente. So solo che se lo meritava”. Poi, in carcere, al Petrusa, innanzi ai giudici, nel corso dell’udienza di convalida dell’arresto, Baio ha spiegato: “Parlava male di me, e l’ ho ucciso”. Quando Antonio Baio è stato sottoposto a perizia psichiatrica, da cui è emerso che è stato capace di intendere e di volere, i periti hanno tracciato anche le origini del gesto sanguinario di Baio, scrivendo: “Le motivazioni del suo gesto sono ascrivibili a peculiari atteggiamenti culturali che ritengono la dignità, la reputazione e il rispetto fattori di massima rilevanza.”