Il gip di Palermo ha archiviato la tranche dell’inchiesta sulla trattativa Stato-mafia che coinvolgeva il boss Giuseppe Graviano, il boss di Brancaccio che era stato accusato di violenza a Corpo politico dello Stato. Il decreto di archiviazione, che accoglie la richiesta della Procura, è stato depositato oggi. È ciò che è emerso durante lo svolgimento dell’udienza del processo d’appello sul presunto patto tra i clan e pezzi delle istituzioni che si celebra davanti alla corte d’assise d’appello di Palermo.
Secondo il gip il reato contestato al capomafia Graviano è prescritto: uguale la tesi sostenuta dai pm.
La Procura, in seguito a quanto dichiarato dal pentito Gaspare Spatuzza e a fronte delle intercettazioni in carcere a cui Graviano è stato sottoposto nel 2017, iscrissero il boss nel registro degli indagati. Secondo gli inquirenti, il padrino di Brancaccio dal 1994 al carcere duro, avrebbe «contribuito, con condotte certamente rilevanti, alla elaborazione ed alla successiva esecuzione del piano di intimidazione violenta ai danni delle istituzioni dello Stato».
Ad aver posto i paletti della prescrizione è stata la sentenza della Corte d’Assise di Palermo che, nell’aprile di due anni fa, ha condannato a pene pesantissime i coindagati: l’ex senatore di Forza Italia Marcello dell’Utri, gli ex ufficiali del Ros Mario Mori, Antonio Subranni e Giuseppe De Donno, i boss Leoluca Bagarella e Antonino Cinà e Massimo Ciancimino.
Nel provvedimento i giudici stabilirono che il reato di minaccia a Corpo politico dello Stato, alla luce della legge più favorevole all’indagato, si prescrive in 20 anni, che decorrono dal primo atto interruttivo della prescrizione. I pm hanno sostenuto che il contributo di Graviano abbia avuto inizio nel 1991 e sia terminato col suo arresto, nel gennaio del 1994. La prescrizione decorre dal ’94 dunque e si interrompe con l’interrogatorio a cui il boss fu sottoposto il 28 marzo 2017.