Il Tribunale di Agrigento ha convalidato l’arresto dei sei pescatori tunisini che hanno trainato fino a Lampedusa una barca di migranti. Esplode un caso internazionale.
Sei pescatori tunisini sono reclusi nel carcere “Pasquale Di Lorenzo” ad Agrigento. E perché? Perché lo scorso 30 agosto sono stati arrestati a Lampedusa, fin dove hanno trainato una barca carica di migranti. E al perché risponde, più nel dettaglio, il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Agrigento, Stefano Zammuto, che ha convalidato gli arresti e tra l’altro ha scritto: “E’ ragionevole ritenere che abbiano organizzato la traversata dalla Tunisia, mettendo deliberatamente in condizione di pericolo i migranti, facendoli viaggiare su un natante del tutto inadeguato ad affrontare la traversata, così da provocare l’intervento della polizia giudiziaria operante e il successivo soccorso una volta giunti in acque internazionali presidiate dall’Italia” – conclude il magistrato. Mercoledì 29 agosto, intorno alle ore 14, un aereo della missione Frontex avvista a circa 84 miglia a sud di Lampedusa, in area libica, una barca con 14 persone a bordo trainata da un peschereccio. Sono diretti verso l’Italia. Intorno alla mezzanotte la Guardia di Finanza intercetta la barca dei migranti, e un’ora dopo blocca il peschereccio e arresta i sei componenti dell’equipaggio. I migranti soccorsi raccontano: “Abbiamo avuto problemi con il motore. Siamo rimasti lì, è passato molto tempo e alla fine abbiamo visto passare una barca di pescatori a cui abbiamo segnalato la nostra posizione. Ci hanno chiesto se volevamo chiamare le autorità tunisine o essere riportati indietro. Abbiamo detto di no, non saremmo mai tornati. Abbiamo chiesto ai pescatori di chiamare le autorità italiane. Ci hanno dato acqua e pane e ci hanno detto di rimanere dove eravamo. Loro si sarebbero messi in contatto con le autorità italiane in modo che queste sarebbero venute a prenderci. Poi di notte è entrata acqua nell’imbarcazione e i pescatori sono tornati. Ci hanno detto che non erano riusciti a rintracciare le autorità italiane. E visto che rimanere là sarebbe stato pericoloso, ci hanno trainati un po’ avanti verso Lampedusa, in un posto dove il mare era più tranquillo”. Il caso Lampedusa, che segue a ruota il precedente “Diciotti”, assume contorni internazionali, alquanto polemici. Tra i sei pescatori tunisini arrestati, e detenuti ad Agrigento perché presunti trafficanti di uomini, vi è anche Chamseddine Bourassine, noto in Tunisia perché leader dell’associazione della pesca artigianale di Zarzis e per avere salvato tanti migranti davanti le coste nordafricane. I pescatori di Zarzis hanno ricevuto anche formazione da “Medici senza frontiere” per essere in grado di soccorrere. Ecco perché centinaia di persone manifestano senza sosta innanzi alle ambasciate italiane di Tunisi e di Parigi. Il fratello di Bourassine. Mohamed, è volato in Sicilia dalla Francia, e conferma: “Mio fratello è conosciuto in tutto il mondo, ha sempre aiutato i migranti in difficoltà in mezzo al mare”. E il difensore di Bourassine, l’avvocato Salvatore Cusumano, spiega: “Hanno trovato la barca di migranti in difficoltà, l’hanno soccorsa e l’hanno lasciata vicino a Lampedusa. L’unico errore è stato quello di non avvertire le autorità italiane”.