Come lo scorso 7 dicembre, e nonostante il parere favorevole dei consulenti della Procura, anche adesso il Tribunale di Sorveglianza di Roma, ha risposto no, condividendo l’altrettanto no espresso dalla Procura Generale all’udienza dello scorso 2 febbraio. Marcello Dell’Utri, cardiopatico, afflitto da diabete e tumore alla prostata, non sarà scarcerato per motivi di salute. I suoi difensori, gli avvocati Alessandro De Federicis e Simona Filippi, hanno invocato la sospensione della pena, affinchè l’ex senatore di Forza Italia si prestasse alle cure dell’Istituto clinico Humanitas a Milano. E invece no: Dell’Utri sarà ancora detenuto nel carcere Rebibbia a Roma, dove sconta la condanna a 7 anni per concorso esterno all’associazione mafiosa. A nulla è valso che il garante dei detenuti, citato dagli avvocati De Federicis e Filippi, abbia sostenuto che “sia il carcere che le strutture protette sono inadeguate per le cure di cui ha bisogno Marcello Dell’Utri”. Invece, secondo il Tribunale di Sorveglianza, “le patologie di cui soffre Dell’Utri non sono in stato avanzato e lui, che è in grado di deambulare, potrebbe anche scappare. Può essere curato presso i reparti Sai (Servizi ad assistenza intensificata) previsti nelle carceri”. A dicembre, al no alla prima istanza di scarcerazione, Dell’Utri ha commentato “La mia è una condanna a morte”. Nel frattempo, il 22 dicembre scorso, la Procura Generale della Corte d’Appello di Caltanissetta si è espressa a favore della revisione della condanna a carico di Marcello Dell’Utri ritenendo che ricorra il caso Contrada allo stesso modo. E il Procuratore Generale, nello spiegare il perché, ha affermato: “Marcello Dell’Utri è il fratello minore di Bruno Contrada”. E dunque, se la Corte europea dei diritti dell’uomo ha cancellato la condanna per concorso esterno alla mafia a favore di Contrada, non vi è ragione per la quale ciò non sia anche per Dell’Utri. Perché il concorso esterno alla mafia è un reato non tipizzato nel codice penale italiano all’epoca in cui avrebbe concorso non solo Bruno Contrada ma anche Marcello Dell’Utri. E quindi, secondo principio giuridico generale, “nulla poena sine lege”, ossia non si è condannabili per un reato che nel momento in cui sarebbe stato compiuto non è previsto dalla legge come reato. Fino al 1994 il reato del concorso esterno alla mafia è stato troppo vago nella formulazione e mai ben definito. E le presunte condotte di concorso esterno alla mafia di Contrada e di Dell’Utri non si sarebbero protratte oltre il 1992. Il prossimo 8 marzo è atteso il verdetto della Corte d’Appello. Ancora nel frattempo, lo scorso 26 gennaio, la Procura di Palermo ha invocato alla Corte d’Assise la condanna di Dell’Utri a 12 anni di reclusione nell’ambito del processo sulla presunta “trattativa” tra Stato e mafia all’epoca delle stragi.