Anora si afferma come probabilmente il film più maturo nel corpus cinematografico di Sean Baker, dimostrando ancora una volta la sua capacità di combinare un realismo crudo con una narrazione emozionale e dinamica. La regia di Baker appare tanto rigorosa quanto empatica, un’armonizzazione di caos e controllo che si riflette nelle varie sequenze del film.
La sceneggiatura, co-scritta da Baker e Chris Bergoch, costruisce un’odissea che si muove agilmente tra il tragico e il comico, una sorta di anti-Cenerentola ambientata nei recessi più oscuri e grotteschi di Brooklyn. Le interpretazioni, con Mikey Madison nel ruolo principale, sono notevoli per la loro capacità di rendere vibranti anche le sfumature emotive. Madison cattura con intensità il percorso di Anora, oscillando tra vulnerabilità e una risolutezza feroce.
La fotografia di Drew Daniels fa un ottimo lavoro, utilizzando luci al neon e colori saturi per dipingere un paesaggio urbano a tratti onirico e decadente. Il montaggio di Brett Jutkiewicz è serrato ma mai frenetico, mantenendo un equilibrio tra ritmo narrativo e contemplazione visiva. La colonna sonora, che mescola elettronica minimalista e suoni diegetici, amplifica la tensione emotiva del film.
Il linguaggio visivo di Anora si sviluppa attraverso un’attenta costruzione delle inquadrature. Baker predilige il formato stretto, quasi claustrofobico, che sottolinea la sensazione di confinamento nella vita di Anora. I movimenti di camera, spesso fluidi e sinuosi, riflettono lo stato mentale della protagonista, trascinando lo spettatore in un viaggio che oscilla tra sogno e incubo.
Una scena emblematica è l’introduzione del club di striptease dove lavora Anora. L’uso di un piano sequenza segue il personaggio attraverso corridoi angusti e illuminati da luci rosse pulsanti, evocando una discesa negli inferi. La palette cromatica del film, dominata da tonalità calde e fluorescenti, ricorda a tratti le opere di Nicolas Winding Refn, ma è fortemente stemperata da un realismo documentaristico che è peculiare di Baker.
Sul piano tematico, Anora esplora temi universali come il desiderio di emancipazione, la mercificazione del corpo e le dinamiche di potere, affrontandoli con un’onestà brutale. L’arco narrativo della protagonista può essere letto come quello di una moderna Madame Bovary, dove il sogno di un’esistenza migliore si scontra con la realtà della disillusione. L’affidarsi a un capriccioso, immaturo figlio di un oligarca russo è la scelta più avventata che Anora possa compiere.
Come nei drammi di Tennessee Williams, i personaggi di Anora sono intrappolati in un mondo di desideri irrealizzabili e aspirazioni frustrate. L’idea della città come prigione morale e fisica è una costante nel film, che ricorda il cinema di Rainer Werner Fassbinder, dove gli ambienti diventano estensioni simboliche delle emozioni dei personaggi.
L’opera di Sean Baker richiama a tratti l’approccio umanistico di Ken Loach, ma con una sensibilità visiva che lo avvicina a registi come Harmony Korine e Andrea Arnold. Come Loach, Baker pone al centro della narrazione personaggi marginalizzati, ma li ritrae con una vitalità visiva che li rende iconici piuttosto che vittime passive.
Anora è Pretty Woman, ma con un ribaltamento delle sue premesse fiabesche. Baker adotta una visione critica e postmoderna, decostruendo gli archetipi romantici per rivelarne le implicazioni più oscure.
Pur essendo una delle opere più ambiziose di Sean Baker, Anora soffre però di difetti non da poco. La struttura narrativa, pur essendo volutamente a sezioni, risulta troppo diluita, il film poteva certamente essere accorciato senza colpo ferire; alla lunga la pellicola perde di incisività, rischiando di rallentare l’interesse e di distrarre dai temi principali. I personaggi, benché ben interpretati, risultano scarsamente sviluppati, e questo per i protagonisti è un problema, in quanto lo “show, don’t tell” non riesce a far emergere quanto il regista vorrebbe esprimere senza spiegoni, monologhi o dialoghi. I personaggi secondari soffrono dello stesso problema, per certi di loro il ruolo nella storia si fa meno significativo rispetto alle potenzialità iniziali. Questo problema si riflette anche in alcune sottotrame che appaiono abbozzate e non completamente risolte.
Alcuni momenti del film sembrano eccessivamente stilizzati, portando a un distacco emotivo che contrasta con il tono intimista della storia. Se da un lato l’estetica del film è affascinante, l’enfasi sulle luci al neon e sulle composizioni stilizzate rischia di sopraffare la narrazione. In alcuni momenti, la ricercatezza visiva sembra allontanare lo spettatore dalle emozioni più intime della protagonista, privilegiando l’aspetto estetico a discapito della sostanza.
Il finale del film tira bene le somme, condensa benissimo la tragicità della vicenda individuale di Anora. Pur avendo vinto la Palma d’oro alla 77ª edizione del Festival di Cannes, Anora è film che non convince del tutto, pur risultando un’opera profondamente radicata nella realtà contemporanea e cinematografica e un esempio audace di cinema di scuola indipendente.