L’esordio cinematografico di Thordur Palsson, The Damned, è un incubo ghiacciato che si insinua gelido sotto pelle. Ambientato nell’Islanda del XIX secolo, il film si annida al confine tra il dramma morale e l’orrore soprannaturale, intrecciando le cupe profondità del folklore nordico con un senso di inesorabile tragedia umana. È un lavoro di sorprendente maturità artistica per un regista al suo debutto, che mescola la tensione psicologica di una storia di sopravvivenza con una meditazione sul senso di colpa, la paranoia e l’ineluttabilità della rovina.
Se l’Islanda è spesso celebrata per la sua bellezza aspra e primitiva, qui si trasforma in una prigione ghiacciata, un paesaggio che non solo intrappola fisicamente i suoi abitanti, ma li risucchia lentamente in una spirale di follia. La fotografia di Eli Arenson cattura ogni dettaglio di questa desolazione con una precisione quasi crudele: il cielo azzurro e lattiginoso sovrasta distese di ghiaccio e neve, mentre il vento fischia incessante, trasformando l’orizzonte in un luogo di isolamento estremo. Il villaggio di pescatori, circondato da scogliere frastagliate e ghiacci che si estendono all’infinito, diventa un microcosmo di disperazione. Gli interni, illuminati da candele tremolanti e resi opprimenti da spazi angusti, enfatizzano la precarietà della vita in questo luogo inospitale. Ogni crepitio del legno e ogni sussurro del vento sembrano presagi di qualcosa di terribile, un mondo che non offre conforto ma solo la promessa della sofferenza.
La storia ruota attorno a un dilemma morale devastante: salvare i naufraghi di una nave affondata al largo della costa o preservare le risorse già scarse del villaggio per sopravvivere all’inverno. Eva (interpretata da Odessa Young), una giovane vedova che ha ereditato la barca del marito, deve prendere una decisione moralmente devastante: salvare, o lasciare morire degli sconosciuti. Far finta di nulla può essere una condanna non solo per le vittime, ma anche per chi non agisce, alimentando il senso di colpa collettivo e aprendo le porte a un incubo soprannaturale.
La sceneggiatura, scritta da Jamie Hannigan e basata su una storia originale di Palsson, è intrisa di simbolismo. I Draugur, gli spettri del folklore islandese che infestano il film, incarnano il peso delle decisioni morali e il tormento interiore. Ma la vera minaccia non è mai completamente chiara: sono davvero i morti a perseguitare i vivi, o è il rimorso che si manifesta in forme terrificanti?
Odessa Young è il cuore pulsante del film, offrendo una performance che bilancia fragilità e risolutezza. Eva è un personaggio tormentato, una donna che lotta per mantenere l’autorità in un ambiente dominato dagli uomini, mentre è afflitta dal ricordo del marito morto e dal peso delle sue decisioni. Young cattura con maestria la progressiva discesa di Eva nella paranoia e nella disperazione, rendendo ogni sguardo e ogni silenzio un frammento di dolore. Joe Cole, nel ruolo di Daniel, aggiunge una dimensione emotiva al film, incarnando un’umanità fragile che offre a Eva un raro momento di calore in un mondo altrimenti ostile. Rory McCann e Siobhan Finneran completano il cast con interpretazioni solide, dando vita a personaggi che oscillano tra la razionalità e la superstizione, tra la solidarietà e l’egoismo.
Palsson dimostra un controllo straordinario del ritmo e dell’atmosfera. La sua regia è paziente, quasi ipnotica, costruendo la tensione con una precisione chirurgica. Non ci sono inutili esplosioni di violenza o horror gratuito; i momenti sono costruiti per massimizzare l’effetto emotivo. Eli Arenson, il direttore della fotografia, merita una menzione speciale per il suo lavoro straordinario. Le inquadrature sono meticolosamente composte, alternando panorami mozzafiato a primi piani claustrofobici che catturano la vulnerabilità dei personaggi.
La colonna sonora di Stephen McKeon è un susseguirsi di tensione sonora, con archi stridenti che evocano il senso di pericolo imminente e suoni ambientali che amplificano il terrore.
The Damned richiama inevitabilmente classici dell’horror come The Thing di John Carpenter e The Fog, ma lo fa con una voce personale. Come Carpenter, Palsson esplora il deterioramento delle relazioni umane sotto pressione e la sottile linea tra paranoia e realtà. Al tempo stesso, il film si avvicina alla sensibilità psicologica di opere moderne come The Babadook e Saint Maud, intrecciando elementi soprannaturali con temi di lutto e colpa. Tra i momenti memorabili, c’è la scena in cui un corpo naufragato viene aperto, rivelando anguille vive che si contorcono al suo interno. È un’immagine viscerale, disturbante, che cattura perfettamente l’orrore corporeo e simbolico del film. Le anguille diventano un simbolo del degrado morale e della putrefazione interiore che affligge i personaggi.
Altri momenti degni di nota includono le visioni fugaci di figure spettrali che emergono dall’ombra, cadenzate da suoni che sembrano provenire da un altro mondo. Questi dettagli accentuano l’opprimente sensazione di isolamento e rendono palpabile la fragilità mentale dei personaggi, sempre più consumati dal dubbio e dalla paura. La tensione cresce con lentezza, ma con una coerenza che lascia senza fiato: ogni gesto, ogni sussurro e ogni ombra sembrano carichi di significato, trasformando anche le scene più semplici in un balletto di terrore latente.
Il paesaggio islandese diventa un personaggio a sé stante, un’entità quasi viva che riflette la desolazione interiore dei protagonisti. Ogni inquadratura è un dipinto di ghiacciai scintillanti sotto la luce della luna alle tempeste che inghiottono il villaggio in una morsa di gelo e oscurità. Non è solo un luogo; è un giudice silenzioso, uno specchio delle anime tormentate che lo abitano.
Alcune sequenze tuttavia sembrano indulgere in facili jump scare, sacrificando parte dell’eleganza costruita nelle scene precedenti. Inoltre, il finale, pur essendo potente, risulta un po’ affrettato, lasciando la sensazione che alcuni temi non siano stati esplorati fino in fondo. Nonostante ciò, The Damned riesce a mantenere il suo fascino, grazie alla profondità dei suoi temi e alla straordinaria qualità artistica che permea ogni fotogramma.
The Damned è un horror che non si accontenta di agire da film horror. È una meditazione sul peso del peccato, sull’inevitabilità delle conseguenze e sulla fragilità della mente umana di fronte all’ignoto.
Con un cast che fa un ottimo lavoro, una regia sicura e una narrazione che mescola abilmente realismo e soprannaturale, Palsson ha creato un’opera che merita di essere celebrata come uno dei migliori debutti degli ultimi anni.
Voto: 7.5/10