Dopo esplorato il lato oscuro della moderazione dei contenuti sui social media e le dinamiche di censura globale in The Cleaners, Hans Block e Moritz Riesewieck tornano a scandagliare il rapporto tra digitale e umanità. Eternal You ci porta addirittura nel cuore del “dopo-vita digitale” – una realtà che sembra uscita da un racconto di fantascienza, ma che è specchio e distorsione del nostro presente – e ci costringe a confrontarci sul nostro rapporto con la morte e la tecnologia.
Con una regia asciutta e una narrazione che bilancia empatia e rigore critico, il film esplora il fenomeno delle repliche digitali dei cari estinti: avatar creati con l’intelligenza artificiale che simulano i defunti, permettendo ai loro cari di “interagire” con loro. Una promessa che attinge al nostro desiderio più intimo – quello di non perdere mai le persone amate – ma che, come il film ci mostra con chiarezza chirurgica, apre le porte a dilemmi etici, morali ed esistenziali profondi.
L’aspetto più inquietante di Eternal You è la lucidità con cui svela il funzionamento di questa tecnologia. Tutto il talento e la potenza computazionale impiegati per creare questi avatar non fanno altro che perfezionare una versione più avanzata del cosiddetto “cold reading“, la tecnica utilizzata dai chiromanti per ricavare informazioni apparentemente segrete dal proprio interlocutore basandosi su indizi comportamentali minimi.
È qui che emerge il primo grande inganno: un’enorme capacità tecnologica – quella del machine learning – viene utilizzata per alimentare un’illusione. La tecnologia viene trasformata in uno strumento di manipolazione, di sfruttamento delle debolezze. Una Wanna Marchi algoritmica, e che non urla nemmeno, quindi più subdola.
Lungi dall’essere un semplice resoconto di un fenomeno tecnologico, il documentario intreccia bene etica ed economia nel “mercato” delle emozioni umane, invitando a riflettere sulle implicazioni morali e sociali di una simile applicazione dell’AI. Con uno stile asciutto ma profondamente empatico, Block e Riesewieck esplorano il lato umano della tecnologia, mostrandoci un’umanità fragile che cerca di confrontarsi con l’ineluttabilità della morte e il desiderio di continuare a connettersi con chi non c’è più.
Block e Riesewieck scelgono di raccontare il fenomeno attraverso le storie di persone reali che hanno fatto ricorso a questi servizi. Joshua si rivolge a Project December per parlare con Jessica, la sua fidanzata defunta, mentre Christi usa lo stesso sistema per “connettersi” con il partner Cameroun, morto dopo un coma improvviso. Stephenie, invece, si rivolge a HereAfter.ai per far conoscere il padre defunto ai nipoti, perché sostiene che una conversazione sintetizzata possa essere più efficace di una foto o di un video ricordo.
Queste storie ci conducono in territori emotivi complessi, dove il confine tra conforto e dipendenza si fa sempre più sfumato. Emerge dal racconto come gran parte degli utenti intervistati sia passato attraverso a traumi di una certa gravità e sono, per definizione, parte di una popolazione estremamente vulnerabile. Il documentario non li giudica, ma ci invita a riflettere: possiamo davvero considerare etico un sistema che sfrutta il dolore umano per scopi commerciali durevoli? Chi di questi del resto se la sentirebbe di porre fine al dialogo dovendo passare per un “secondo lutto”, quello legato alla perdita dell’avatar del proprio caro?
Il rischio che le logiche capitalistiche alimentino questa industria emergente è alto, come si vede dal cinismo di alcuni sviluppatori invervistati: Jason Rohrer, fondatore di Project December, minimizza l’impatto emotivo dei suoi prodotti sugli utenti. Rohrer scherza sulle sofferenze di Christi, che racconta come l’avatar digitale del compagno le abbia detto di trovarsi all’inferno, e afferma che non è suo compito quello di mettere in guardia le persone dall’illusione. La sua priorità, come lascia intendere, è offrire un’esperienza piacevole, perché è per questo che la gente paga.
Block e Riesewieck costruiscono qui un’accusa implicita, ma profonda, contro un sistema che mette il profitto al di sopra dell’empatia e della dignità umana. La tecnologia diventa così non uno strumento di liberazione, ma un mezzo per perpetuare un antico schema di oppressione economica.
Eternal You ha la capacità di affrontare con sensibilità un argomento che tocca corde vibranti, riesce a indagare con serietà il confine tra consolazione e sfruttamento economico da parte delle aziende. Questa tensione etica è il cuore pulsante del film: se da una parte la tecnologia offre nuove possibilità per elaborare il lutto, dall’altra solleva interrogativi cruciali sull’autenticità di queste esperienze e, soprattutto, sulla loro potenziale strumentalizzazione da parte di un mercato che potrebbe far facilmente dell’ “engagement del lutto” un indicatore di performance.
L’incapacità di lasciare andare i propri cari e l’inevitabile difficoltà di distinguere tra bisogno personale e manipolazione esterna potrebbe dar vita a un mercato distorto, basato sullo sfruttamento del dolore luttuoso. Eternal you si fa lente d’ingrandimento atto a magnificare il nostro rapporto con la perdita, mostrando il costo emotivo e le possibili distorsioni di una tecnologia che promette di “ingannare” la morte.
Le visionarie startup del “dopo-vita digitale” si presentano come pioniere di un futuro in cui i legami familiari possono continuare anche dopo la morte, ma il film non manca di sottolinearne i rischi. L’industria descritta in Eternal You si mostra come il frutto di un sogno umano di immortalità, ma è soprattutto un prodotto del capitalismo tecnologico, pronto a trasformare i sentimenti in opportunità di profitto.
Per questo il documentario affronta anche il tema delle responsabilità legislative e morali. È possibile regolamentare un’industria che si muove così rapidamente? E, soprattutto, esiste la volontà politica di farlo? La sociologa Sherry Turkle e il professor Carl Öhman, tra i principali critici intervistati, offrono una visione profondamente umanista, contrapponendosi al pragmatismo spesso cinico dei “tech bros” responsabili di queste innovazioni. Turkle e Öhman incarnano un’espansiva comprensione dell’umanità, mentre gli sviluppatori sembrano più interessati a sfruttare le possibilità offerte dalla tecnologia che a considerare le loro implicazioni etiche.
Uno dei momenti più toccanti del film è la storia di Jang Ji-sung, una madre sudcoreana che utilizza una tecnologia di realtà virtuale per “incontrare” la figlia morta, Nayeon. La scena in cui Jang, con un visore VR, allunga le braccia verso un avatar della bambina, tentando di toccarla nell’aria vuota, è straziante. La storia, ripresa in un documentario televisivo coreano, Meeting You, mostra come il dolore umano possa essere spettacolarizzato e mercificato. I produttori discutono persino della colonna sonora più adatta, mentre la donna cerca disperatamente di interagire con l’immagine della figlia.
È un’immagine che mette a nudo l’abisso morale che si cela dietro l’avanzamento delle AI.
Dal punto di vista estetico-formale, Eternal You adotta uno stile visivo sobrio, quasi documentaristico nel senso più classico del termine. Le interviste e le immagini delle applicazioni tecnologiche sono presentate con una compostezza che evita ogni sensazionalismo. Pur conservando una certa convenzionalità della forma – con riprese statiche e un montaggio piuttosto lineare – il contenuto esce con una certa forza, e con esso i dilemmi morali che sottintende.
Questa semplicità visiva serve a dare massimo risalto al messaggio del film, l’approccio minimalista permette di concentrarsi sulle implicazioni umane ed etiche.
Pur affrontando un argomento tecnologico, Eternal You è, a tutti gli effetti, un film sull’umanità. Esplora il nostro rapporto con il lutto, la memoria e la perdita, mostrando come il digitale possa amplificare le nostre fragilità invece di sanarle. È un’opera che apre un abisso di orrori mascherati da risposte a desideri impossibili.
L’opera di Block e Riesewieck è un invito a riflettere sul futuro: quali sono i limiti dell’interazione umana mediata dalla tecnologia? È giusto utilizzare queste innovazioni per superare il lutto o rischiamo di creare dipendenze emotive? E, soprattutto, cosa significa davvero “vivere” quando anche la morte diventa un’esperienza simulata?
Disponibile gratuitamente sul sito della BBC, Eternal You è un documentario che non si limita a informare, ma sfida a confrontarsi con timori e desideri personali. Block e Riesewieck firmano un’opera che, pur non innovando sul piano formale, brilla per la profondità e l’equilibrio con cui affronta un argomento tanto complesso. Il film si distingue per la capacità di bilanciare la risonanza emotiva con una riflessione critica, offrendo una prospettiva unica su una tecnologia – l’AI – che sta cambiando anche il nostro modo di concepire la vita e la morte.
Eternal You non offre risposte facili, ma ci lascia con una certezza: il rapporto tra uomo e tecnologia è a un bivio. A noi tocca riflettere su cosa significhi essere umani in un mondo dove oggi si discute di fornire i nostri dati biometrici alle aziende e dove perdita e lutto possono essere monetizzate.