Alcuni horror contemporanei (mi viene da nominare The Witch, Hereditary, Cabin in the woods e i primi due film di Jordan Peele) si sono distinti per la caratteristica di nutrirsi delle aspettative degli spettatori, e poi capovolgerle con intelligenza. Barbarian di Zach Cregger amplifica e in qualche modo destruttura questa tendenza.
Barbarian si apre con una premessa relativamente ordinaria per il genere: Tess (Georgina Campbell) arriva a Detroit per un colloquio di lavoro e scopre che la casa che ha prenotato tramite Airbnb è già occupata da Keith (Bill Skarsgård). Questa situazione, che potrebbe facilmente scivolare in un banale thriller psicologico, è invece l’inizio di un viaggio narrativo che destabilizza lo spettatore a ogni passo. Cregger costruisce la sceneggiatura seguendo una regola fondamentale: sorprendersi per primo. Ogni scena sembra progettata per ribaltare le aspettative, mantenendo alta la tensione senza mai rivelare troppo. La scelta di interrompere bruscamente la narrazione per introdurre nuovi personaggi – come AJ (Justin Long), il proprietario della casa – spezza il ritmo in modo volutamente destabilizzante, creando un effetto straniante che richiama il cinema postmoderno, e prepara a colpi di scena atti a deviare in maniera decisiva il corso della narrazine.
Cregger ha dichiarato di essersi ispirato a un saggio di self-development femminile – The Gift of Fear – per costruire un horror che affonda le radici nella paura reale e quotidiana. Il film esplora infatti il tema dell’abuso, del trauma e della misoginia sistemica. AJ e Frank, due figure apparentemente distanti nel tempo e nello spazio, rappresentano le diverse facce del mostro patriarcale. Il primo, un attore accusato di stupro, incarna il privilegio tossico; il secondo, un aguzzino seriale, è il prodotto di una violenza che si perpetua senza controllo. Il risultato è un horror sociale che utilizza il genere per parlare di questioni politiche e culturali, mantenendo un equilibrio delicato tra intrattenimento e riflessione. Come in Get Out di Jordan Peele, qui l’orrore diventa metafora di un male radicato nella società.
Georgina Campbell offre una performance intensa, alternando vulnerabilità e forza. La sua Tess è un personaggio lontano dai cliché dell’eroina horror. Bill Skarsgård, con il suo carisma ambiguo, gioca abilmente con la percezione dello spettatore, trasformandosi da minaccia a vittima. Justin Long, invece, sorprende in un ruolo che sfrutta la sua immagine di attore rassicurante per creare un personaggio complesso e moralmente ambiguo.
Cregger si dimostra un regista capace di gestire con precisione i tempi dell’horror. Ogni inquadratura, ogni movimento di macchina sembra progettato per creare disagio. La scelta di girare gran parte del film in ambienti chiusi – la casa, i tunnel sotterranei – amplifica il senso di claustrofobia, mentre l’illuminazione gioca un ruolo chiave nel suggerire la presenza del pericolo. Non mancano momenti di umorismo nero, che spezzano la tensione senza mai comprometterla del tutto. Questa abilità nel bilanciare orrore e leggerezza richiama alcuni primi lavori di Sam Raimi, pur rimanendo fedele a un’estetica contemporanea.
Il design sonoro è uno degli elementi più efficaci del film. Cregger utilizza rumori ambientali, silenzi improvvisi e una colonna sonora inquietante per manipolare le emozioni dello spettatore. Scricchiolii ed echi nei tunnel si insinuano sotto pelle, rendendo l’esperienza visiva anche sensoriale.
Nonostante i suoi molti pregi, Barbarian ha comunque dei punti deboli. Alcuni momenti, soprattutto nel terzo atto, richiedono una eccessiva sospensione dell’incredulità, anche in contesto che si fa mostruoso e di per sé iperbolico. Inoltre, l’introduzione di AJ, pur interessante, spezza il ritmo narrativo senza riuscire del tutto a tirare nuovamente le fila come dovrebbe, creando una discontinuità che lascia un po’ perplessi. Il plot twist che cambia la direzione della trama – punto centrale di questa narrazione, dunque – è introdotto in maniera forse un po’ troppo deliberata e improvvisa. Si nota abbastanza come sia nato, se è vero che l’autore ha inizialmente costruito una sequenza zeppa di red flag per la donna che si trova a condividere la casa con uno sconosciuto e solo dopo – per sfuggire al banale – ha trovato un espediente che ha cambiato del tutto il plot.
Nonostante questi difetti, Barbarian risulta molto ben fatto, ed è soprattutto un film che osa. Non cerca di accontentare, ma di sorprendere, e in questo riesce brillantemente. La sua capacità di giocare con le aspettative, combinata a una regia intelligente e a temi rilevanti, lo rende un’opera notevole nel panorama dell’horror degli ultimi anni. È un’esperienza cinematografica imprevedibile e per molti aspetti emotivamente toccante, soprattutto nel finale. Non capita spesso di empatizzare col male, o con quello che è apparentemente il male, dato il sovvertimento di prospettiva su cosa o chi sia il bene o meno.
Cregger usa l’horror come andrebbe fatto, non attenendosi solo alle mere regole di genere, ma facendo dell’orrore un mezzo per un messaggio sociale importante, quello che ci ricorda di guardare sin nel profondo per rintracciare il male, e che a volte l’estetica e la superficie delle cose ci ingannano.