“Mantiene contatti con il clan di appartenenza”: la Cassazione boccia il ricorso contro il 41 bis del boss stragista Filippo Graviano. I dettagli.
Filippo Graviano, “U Baruni”, nato a Palermo il 27 giugno 1961, è e sarà ancora carcerato al 41 bis. La Cassazione ha rigettato un suo ricorso come inammissibile. Lui ha invocato sconti vantando la dissociazione da Cosa Nostra. I giudici hanno risposto: “Deve restare al 41bis per mancanza di una reale dissociazione da Cosa Nostra e soprattutto per gli accertati contatti con il clan di appartenenza”. Filippo Graviano, come il fratello Giuseppe, è stato capo mafia di Brancaccio a Palermo, condannato all’ergastolo per le stragi del ’92 e del ’93, e per l’omicidio di don Pino Puglisi. E’ detenuto in carcere dal 1994. Da alcuni anni ha iniziato un percorso rieducativo, culminato nel 2021 con la decisione di dissociarsi da Cosa Nostra ma senza collaborare con la giustizia. Filippo Graviano, tramite il suo difensore, l’avvocato Carla Archilei, si è aggrappato anche alla sentenza della Corte Costituzionale che nell’ottobre del 2019, dopo un rimprovero della Corte europea per i diritti dell’uomo, ha dichiarato incostituzionale l’Ordinamento penitenziario italiano nella parte in cui prevede che all’ergastolano, sia o no mafioso, la collaborazione con la giustizia non è più una condizione vincolante per ottenere eventuali benefici carcerari. Ovvero: i benefici spettano a tutti gli ergastolani, collaboranti e non. Il 41 bis a carico di Graviano è stato confermato e prorogato dal ministero della Giustizia nell’ottobre del 2023. Il boss ha presentato ricorso, ma il Tribunale di Sorveglianza nel maggio scorso lo ha bocciato, rilevando – testualmente – “il suo permanente inserimento nella cosca di appartenenza, tuttora attiva e retta da persone a lui vicine, e in cui egli ha ricoperto un ruolo apicale, con collegamenti con essa, con il pericolo di un loro ripristino, e con la mancanza di una reale dissociazione da tale contesto criminoso”. Ecco perché adesso Filippo Graviano si è rivolto alla Cassazione. E il suo avvocato, Carla Archilei, tra l’altro ha scritto nel ricorso: “Il Tribunale di Sorveglianza ha dedotto il ruolo apicale di Graviano nell’associazione mafiosa dalle condanne riportate, senza ricostruirle nel dettaglio e senza esaminarle alle luce del reclamo e delle memorie presentate, e per non avere tenuto conto del suo progresso trattamentale, della sua esplicita dissociazione pronunciata durante una udienza pubblica, della rivisitazione critica da lui compiuta, così violando le numerose pronunce della Corte europea per i diritti dell’uomo e della Corte Costituzionale. E quindi il carcere duro al 41 bis comporta la violazione dell’articolo 3 della Costituzione (tutti i cittadini sono eguali davanti alla legge), e delle molte pronunce della Corte europea sulla natura inumana della pena dell’ergastolo”. La Cassazione ha dichiarato il ricorso non ammissibile spiegando che il 41 bis è impugnabile solo per violazione di legge. La difesa di Graviano invece rileva solo – scrivono i giudici – “delle doglianze in fatto, e si oppone alla ricostruzione della storia criminale del boss, presentando una diversa ricostruzione basata sulle sentenze assolutorie, sminuendo la rilevanza e la portata di quelle di contenuto contrario. E non si confronta con l’ordinanza impugnata nella parte in cui emergono accertati contatti con il clan di appartenenza, mantenuti attraverso alcuni familiari. E ciò legittima il 41 bis”.