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Trap, di M. Night Shyamalan

Fra i meriti di Shyamalan, c’è da sempre quello di aver avvicinato il pubblico all’autorialità e al gioco semiotico. Chi vada a vedere un suo film sa spesso cosa aspettarsi, e questo comporta che ormai Shyamalan sembri vincolato al suo stile così ben definito, e che dall’altro lo spettatore si aspetta elementi tipici del regista indo-americano.
Trap, suo ultimo thriller, rompe con le aspettative che il regista ha sapientemente costruito nel corso della sua carriera. Questa volta Shyamalan decide di “giocare a carte scoperte”, svelando sin dal principio chi sia il serial killer, un dettaglio che nei suoi film precedenti sarebbe stato il grande colpo di scena. Persino il trailer non lascia dubbi, eliminando ogni pretesa di twist finale. Questa scelta ci introduce a un’opera che sfida il pubblico a un nuovo tipo di visione, a metà strada tra il thriller psicologico e il gioco intellettuale, dove le aspettative vengono usate come una trappola stessa per lo spettatore. 
Andare al cinema per vedere Trap significa accettare la sfida di Shyamalan, abbandonando l’idea del twist sorprendente e immergendosi in una tensione che non proviene tanto dall’ignoto, quanto dalla costruzione narrativa stessa. Il film, infatti, invita chi guarda a cambiare prospettiva: lo spettatore non deve concentrarsi sul “cosa” accadrà, ma sul “come” e sul “quando.” Il risultato è un’opera che si trasforma in una lunga sequenza di specchi e rimandi, in cui il regista, anziché nascondere le sue intenzioni, accompagna in un percorso pieno di piccoli colpi di scena distribuiti nel racconto come indizi in un gioco di indovinelli.

Gli momenti volutamente esagerati di Trap, le sue profonde lacune narrative e la serie sempre più incredibile di eventi improbabili che vi si susseguono, diventano trascurabili se considerati all’interno dell’universo di Shyamalan.

La trama ruota attorno a Cooper, interpretato da un sorprendente Josh Hartnett, che riesce a incarnare perfettamente la dualità del padre amorevole e del sociopatico spietato. La sua interpretazione è forse la più intensa della sua carriera, con un equilibrio incredibile tra tenerezza e ferocia, e ogni espressione contribuisce a costruire la suspense. Hartnett interpreta un personaggio capace di manipolare la percezione altrui, in un crescendo di tensione che rivela le sue capacità camaleontiche: Hartnett riesce ad alternare in sequenza rapida espressioni paterne e premurose a sguardi glaciali e calcolatori, suscitando nel pubblico un mix di empatia e repulsione. In vari frangenti, si è portati quasi a fare il tifo per lui, pur essendo consapevoli della sua natura diabolica.

La vera “trappola” di Trap non è nel film, ma nelle aspettative che Shyamalan sfrutta abilmente, intrappolando il pubblico nella tensione psicologica. Il regista costruisce una storia che sembra far credere allo spettatore che ci sia un trucco nascosto da qualche parte. È una trovata quasi hitchcockiana: Hitchcock anticipava infatti i suoi cameo per non distrarre il pubblico, consentendo loro di godersi la storia senza distrazioni. Allo stesso modo, Shyamalan sembra voler liberare il pubblico dall’ansia dell’attesa, ma mette in atto un continuo gioco di rimandi.
Ma questa volta, il twist è proprio l’assenza di un twist: non c’è nulla da scoprire oltre ciò che Shyamalan ci mostra chiaramente fin dall’inizio. Questo è un elemento che potrebbe lasciare disorientati i fan più affezionati ai finali sorprendenti del regista, ma che, paradossalmente, riesce comunque a mantenere viva la suspense attraverso il linguaggio visivo e la messa in scena.

La regia di Shyamalan è essenziale, con movimenti di macchina ridotti e inquadrature studiate per mantenere alta la tensione senza bisogno di eccessi. La sua scelta di confinare gran parte dell’azione all’interno dell’arena di un concerto pop aggiunge una dimensione claustrofobica e distopica, dove la folla e il rumore diventano paradossalmente una copertura perfetta per Cooper. La fotografia di Sayombhu Mukdeeprom si dimostra impeccabile nel creare un ambiente soffocante, costringendo chi guarda a restare letteralmente “intrappolato” nel punto di vista del protagonista, in un crescendo che riflette lo stato di angoscia e paranoia di Cooper.

Anche la popstar Lady Raven, interpretata da Saleka Shyamalan, aggiunge al film una sfumatura interessante, rappresentando una figura quasi mitica per la giovane Riley, la figlia di Cooper. Attraverso il personaggio di Lady Raven e la folla di adolescenti che la idolatra, Shyamalan esplora il culto della celebrità attraverso l’altare dei social media, dando vita a un curioso parallelo tra l’ossessione collettiva dei fan e la mania solitaria e perversa del protagonista. Questo doppio gioco di specchi tra il mondo virtuale e quello psicopatico di Cooper conferisce a Trap una dimensione metaforica che va oltre il semplice thriller, trasformandolo in una critica sottile alla società contemporanea.

Ciò che distingue Trap è proprio la capacità di Shyamalan di tenere alta la tensione pur senza puntare su un colpo di scena conclusivo. La suspense viene alimentata dal crescendo di piccole rivelazioni e da un’atmosfera quasi ipnotica, che tiene lo spettatore sospeso in attesa di un epilogo che potrebbe non arrivare mai. È come se il regista stesse giocando con il pubblico, muovendo i fili come un burattinaio che non ha bisogno di nascondere il suo trucco. Ogni volta che pensiamo di sapere dove la storia ci stia portando, Shyamalan ci sorprende con una svolta diversa, mantenendo sempre l’equilibrio tra ironia e tensione.

Trap è un’opera intrigante e coraggiosa, che potrebbe dividere gli spettatori ma che dimostra ancora una volta la maestria di Shyamalan nel giocare con i generi cinematografici. La performance di Hartnett è indimenticabile, il messaggio sottile e la regia impeccabile; il risultato è un film che sfida le aspettative e dimostra che, a volte, il vero twist è proprio quello che Shyamalan decide di non nascondere.

Gero Miccichè
Gero Miccichèhttps://livellosegreto.it/web/@Eragal
Development Director di Electronic Arts, dove ha lavorato su GRID Legends, Need for Speed e adesso Battlefield. Vanta una lunga esperienza nella produzione in ambito televisivo, editoriale e audiovisivo, ricoprendo anche il ruolo di General Manager e Direttore Editoriale dell’emittente Teleacras. Per Gameloft ha prodotto Dragon Mania Legends e Disney Getaway Blast, anche qui partecipando attivamente alla produzione narrativa. Tra i fondatori del magazine letterario El Aleph, ha pubblicato racconti su diverse riviste e dal 2011 al 2017 è stato Direttore Artistico della rassegna letteraria televisiva ContemporaneA, dedicata alle nuove voci della letteratura italiana. Ha scritto e condotto svariate trasmissioni TV, fra cui la rubrica "Libri da ardere" e lo show videoludico GameCompass, del quale è stato direttore della testata giornalistica online. Giurato dei prestigiosi BAFTA Awards, è docente di Produzione e sviluppo di videogiochi presso la Digital Bros. Game Academy. Nel 2011, è stato insignito del premio Ignazio Buttitta e del premio Telamone per l'attività culturale, e nel 2022 ha vinto il DStars Awards, categoria “Far Star”, "per il suo contributo straordinario nello sviluppo da italiano in uno stato estero”. È fra i 100 sviluppatori italiani più importanti secondo la classifica di StartupItalia.
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