Dall’istanza di rinvio a giudizio del presunto clan di Campofranco emerge la mancanza di denaro per acquistare armi e riorganizzare la famiglia. Rapporti anche con la provincia di Agrigento.
La Direzione distrettuale antimafia di Caltanissetta ha depositato istanza di rinvio a giudizio a carico di 10 imputati nell’ambito di un’inchiesta antimafia ruotante su Campofranco e sfociata in 9 arresti ad opera dei Carabinieri lo scorso 23 maggio. Si tratta di Angelo Schillaci, 62 anni, inteso “Fungiddra”, presunto reggente di Campofranco, Claudio Rino Di Leo, inteso “Spatuzza”, 62 anni, di Campofranco, Gioacchino Cammarata, inteso “Iachino”, 54 anni, di Milena, Calogero Giuliano, 72 anni, di Campofranco, Calogero Schillaci, 44 anni, di Mussomeli, Giuseppe Paolino Schillaci, 57 anni, di Milena, Vincenzo Spoto, 66 anni, di Casteltermini, Gianluca Lamattina, 51 anni, di Campofranco, Fabio Giovenco, 51 anni, di Campofranco, e Luigi Cocita, 45 anni, di Caltanissetta. Le indagini sono state avviate nell’ottobre del 2022 dopo la scarcerazione di Angelo Schillaci, già condannato per mafia. Gli si contesta di essersi adoperati per la riorganizzazione del clan, con il reperimento di armi e la costituzione di una ‘cassa comune’ con i proventi illeciti delle estorsioni e dello spaccio di sostanze stupefacenti. Dunque armi e denaro: perché il clan ne sarebbe stato a corto, lamentandosene. Infatti, in una conversazione intercettata le parole di Claudio Di Leo, presunto uomo di fiducia di Angelo Schillaci, sono: “Una pistola, non abbiamo neanche grana per acquistare una pistola”. E Schillaci replica: “Io neanche una pistola ho, un morso di pistola me l’ha dovuta prestare mio cugino… gli ho detto: ‘scendimi la pistola a casa che non si sa mai che io abbia bisogno… qua siamo tutti senza stigli”. Il clan di Campofranco ha coltivato rapporti anche con soggetti di Milena e della provincia di Agrigento. In particolare, sono stati accertati quattro tentativi di estorsione con atti intimidatori a danno di alcune imprese impegnate in opere pubbliche nei Comuni di Campofranco e Milena e di un operatore commerciale di Campofranco, e tre estorsioni a danno di imprenditori e commercianti. Bersaglio è stato anche un imprenditore edile di Licata impegnato in alcuni lavori di ristrutturazioni con il Superbonus 110%. Lui avrebbe pagato 1.500 euro, come anticipo di una somma più cospicua pretesa dalla famiglia mafiosa di Campofranco, nota anche come clan Vaccaro perché capeggiata dai fratelli Domenico e Lorenzo Vaccaro. E’ stata da sempre al centro degli equilibri mafiosi della provincia di Caltanissetta. Domenico “Mimì” Vaccaro, ultimo rappresentante provinciale di Cosa Nostra nissena, avrebbe assunto un ruolo di rilievo in Cosa nostra siciliana negli anni successivi alla cattura di Totò Riina, perché scelto come sostituto del capo della commissione provinciale Giuseppe ‘Piddu’ Madonia, detenuto all’ergastolo.