Alcuni stralci di un intervento dell’ex Procuratore di Agrigento, Luigi Patronaggio, nel merito dell’evoluzione della mafia con riferimenti anche nell’Agrigentino.
L’ex Procuratore di Agrigento, Luigi Patronaggio, adesso Procuratore Generale di Cagliari, è appena intervenuto, tra l’altro, nel merito dell’evoluzione della mafia da Riina a Messina Denaro, e si è riferito anche ad accadimenti e volti agrigentini. E ad esempio ha raccontato: “Ricordo in particolare un killer, spietato e preciso, Alfonso Falzone, da Porto Empedocle, persona apparentemente mite ed equilibrata, un ‘signor nessuno’ nel tessuto sociale empedoclino. Fisicamente non aveva neppure le “phisique du role”, aveva comunque deciso di essere qualcuno e di venire rispettato. Diventò così uno dei killers più affidabili della Cosa Nostra agrigentina, responsabile tra l’altro dell’omicidio del maresciallo dei Carabinieri, Giuliano Guazzelli. Il Falzone la sera cenava a casa della fidanzata, si intratteneva amorevolmente con i suoceri e, di ritorno da casa della fidanzata, commetteva i suoi chirurgici agguati mafiosi. Mi colpì inoltre in quel tempo il disprezzo e la ferocia con cui fu combattuta la lotta fra Cosa Nostra e i cosiddetti Stiddari, fra delinquenti comuni organizzati e l’élite di Cosa Nostra. Gli Stiddari aspiravano ad imitare i mafiosi di Cosa Nostra che li respingevano, non solo per motivi di controllo e governo del territorio, ma anche per un disprezzo sociale nei confronti di chi non era nato e cresciuto nei loro presunti valori. La Stidda poi non si faceva scrupolo ad usare bambini-killers di 15-16 anni, talvolta figli degli stessi capi banda, e ciò aveva destabilizzato l’organizzazione militare di Cosa Nostra che subì infatti delle perdite umane non indifferenti. L’omicidio di Rosario Livatino, per esempio, è stata una tragica prova di forza fra Stiddari e Cosa Nostra. Quella guerra ha prodotto, infine, in poco più di 5 anni oltre 200 morti ammazzati”. E poi, su Matteo Messina Denaro, Patronaggio ha aggiunto: “Premetto di non avere mai interrogato Matteo Messina Denaro e di avere di lui l’immagine indiretta dei tanti processi celebrati in contumacia nei suoi confronti o nei confronti della vasta rete dei suoi fiancheggiatori. Quello che mi ha sempre colpito è la coesione esistente nel Trapanese fra la società civile e Cosa Nostra. Gran parte della imprenditoria trapanese ha fondato le proprie fortune sfruttando la rendita di posizione assicurata loro da Matteo Messina Denaro. Distinti professionisti trapanesi hanno fatto brillanti carriere politiche grazie a Messina Denaro e agli appoggi politico/massonici. Sotto altro aspetto, l’immagine rassicurante che di Cosa Nostra ha voluto dare Messina Denaro, abbandonando la strategia stragista dei corleonesi, dedicandosi prevalentemente alla cura degli affari (come pure gli aveva rimproverato Totò Riina dal carcere), ha ridotto la drammaticità delle scelte morali individuali che la stagione delle stragi aveva fatto insorgere nelle coscienze più sensibili ed esposte dei familiari degli uomini d’onore. La forte personalità narcisista, egocentrica e manipolatoria di Messina Denaro ha permesso poi che lo stesso fosse vissuto come un capo carismatico e addirittura, per certi versi, come un eroe romantico”.