Al processo d’Appello sul depistaggio delle indagini dopo la morte di Paolo Borsellino sono iniziate le arringhe difensive. L’intervento dell’avvocato Seminara.
Al processo di secondo grado in corso innanzi alla Corte d’Appello di Caltanissetta sul depistaggio delle indagini dopo la strage di via D’Amelio contro il giudice Paolo Borsellino, la Procura Generale ha già invocato la condanna dei tre imputati: 9 anni e 6 mesi di reclusione per l’ispettore Fabrizio Mattei, 11 anni e 10 mesi per il commissario Mario Bo e 9 anni e 6 mesi per l’agente Michele Ribaudo. Gli si contesta il reato di calunnia aggravata dall’aver favorito l’associazione mafiosa Cosa nostra. E tale aggravante non è stata riconosciuta dal Tribunale nella sentenza in primo grado, e i tre poliziotti sono stati assolti tra merito e prescrizione. Ebbene adesso sono iniziate le arringhe difensive, ed è intervenuto l’avvocato Giuseppe Seminara, difensore dei poliziotti Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo. L’avvocato Seminara ha esordito così: “A 30 anni e oltre dall’eccidio della strage di via D’Amelio riteniamo di rinnovare il cordoglio per le vittime e i loro familiari. Ma, così come ho fatto in primo grado, intendo esprimere anche la partecipazione al dolore dei cittadini ingiustamente condannati”. E poi Seminara ha aggiunto: “L’imputato ha fede nella giustizia. Il rappresentante dell’accusa, a mio parere, ha perso la fede verso la giurisdizione. Sostenere che Vincenzo Scarantino sia una persona attendibile a mio modo di vedere è qualcosa di aberrante. I giudici in diverse occasioni, con le sentenze Borsellino uno, bis e ter, hanno riconosciuto l’attendibilità di Scarantino. E’ incredibile quante volte gli avvocati hanno urlato vendetta rispetto a ciò”. E poi: “Si contesta agli imputati l’aggravante di avere agito per occultare la responsabilità di altri soggetti nella strage di via D’Amelio. Questa aggravante è contestata anche a Ribaudo e a Mattei, rispettivamente agente e vice sovrintendente della Polizia di Stato. Cioè stiamo parlando degli ultimi due gradi della scala gerarchica che, rispetto al vertice, hanno una tale distanza che parlare di comunicabilità è un’offesa a quello che pensiamo possa avvenire nella normalità. Si tratta di due soggetti che fanno parte degli ultimi gradini della scala gerarchica, e contestare queste accuse è quanto meno singolare”. Poi l’avvocato ha citato il procuratore di Caltanissetta dell’epoca, Giovanni Tinebra, e il capo della Squadra Mobile, altrettanto dell’epoca, Arnaldo La Barbera, presunto primo burattinaio del falso pentito Scarantino e capo del pool investigativo “Falcone e Borsellino” di cui sono stati parte i tre poliziotti imputati. E Seminara ha sottolineato: “Ci è stato detto di non fare un processo ai morti, dal procuratore Tinebra al dottore La Barbera. Ma si perde di vista un’altra cosa: manca la possibilità di avere il loro contributo che per noi sarebbe stato di grandissimo aiuto. Perché avrebbe consentito di contrastare molti dei passi che hanno riguardato i collaboratori di giustizia del processo di primo grado. Non vi è possibilità di pensare che Arnaldo La Barbera, con la sua lunga esperienza, non avesse fatto cancellare ogni prova per evitare che la sua carriera venisse notevolmente compromessa”. La sentenza è attesa il 4 giugno.