La colluttazione innanzi alla concessionaria Zambuto ad Agrigento avrebbe provocato un “reato aberrante”, un omicidio per errore. I dettagli.
I tre indagati di Palma di Montechiaro che sono ristretti nel carcere “Pasquale Di Lorenzo” ad Agrigento a seguito di quanto accaduto nel pomeriggio di venerdì scorso ad Agrigento, al Villaggio Mosè, nel parcheggio antistante l’autoconcessionaria di Lillo Zambuto, “LZ AutoXpassione”, sarebbero passibili di ipotesi di reato alquanto non ricorrenti. Si tratta, tecnicamente, del “reato aberrante”, ovvero il reato commesso per un errore di esecuzione o con modalità diverse, e che colpisce un soggetto diverso dal previsto. Infatti, in latino, “aberratio” significa ‘diverso’, ‘sbagliato’, quindi l’omicidio di Roberto Di Falco, 38 anni, di Palma di Montechiaro, sarebbe stato un omicidio per errore. Ancora più nel dettaglio, si tratterebbe di “aberratio ictus”, ovvero ‘errore nel colpo’, ‘deviazione del colpo’. Infatti, lui, la vittima, Roberto Di Falco, il fratello Angelo Di Falco, 39 anni, entrambi commercianti di automobili, e i loro due amici, Calogero Zarbo, 40 anni, e Domenico Avanzato, 36 anni, sono giunti alla concessionaria di Zambuto forse perché animati dal vendicarsi del non essere stati pagati per una compravendita di automobili. I quattro avrebbero aggredito Zambuto, si è scatenata una colluttazione, e il trambusto ha partorito lo sparo di un colpo di pistola che (ed ecco perché ‘errore nel colpo’, ‘deviazione del colpo’) ha ferito gravemente Roberto Di Falco, poi morto appena giunto al Pronto soccorso dell’ospedale “San Giovanni di Dio” ad Agrigento. Più nel dettaglio: Roberto Di Falco è stato ucciso dalla stessa pistola da lui impugnata per verosimilmente sparare e uccidere Zambuto che, reagendo d’istinto, ha deviato la canna, e l’esplosione ha colpito Roberto Di Falco. Angelo Di Falco avrebbe quindi raccolto la pistola e avrebbe tentato di sparare contro uno dei due figli di Zambuto, ma l’arma si è inceppata. Forse anche alcune telecamere di video – sorveglianza nella zona avrebbero registrato e testimoniato ciò che adesso il procuratore Giovanni Di Leo e il sostituto Gaspare Bentivegna contestano ai tre palmesi, assistiti dagli avvocati Santo Lucia e Antonio Ragusa. Le indagini sono sostenute dalla Squadra Mobile della Questura di Agrigento capitanata da Vincenzo Perta.