Dal primo gennaio entra in vigore il nuovo tariffario nazionale per esami nei laboratori d’analisi e visite dagli specialisti convenzionati. Insorgono i privati. Dettagli e interventi.
Ancora poco più di due settimane, e poi, dal primo gennaio, la maggior parte degli esami e delle prestazioni che oggi si ottengono con una semplice ricetta nei laboratori di analisi e dagli specialisti privati convenzionati sarà erogata solo a pagamento. E a prezzo pieno. E da Capodanno scatterà la protesta contro il nuovo tariffario nazionale che indica i prezzi delle prestazioni attualmente assicurate dal Servizio sanitario nazionale. Si tratta dell’aggiornamento del decreto “Balduzzi”, e, secondo le principali associazioni di categoria, introduce tagli che oscillano dal 20 al 57% a seconda della prestazione. Per citare alcuni esempi: sull’emocromo il taglio è del 27%, ed è fino al 48% sugli esami per diagnosticare l’epatite. E così è per le prestazioni di cardiologi, oculisti, fisioterapisti e di tutti gli specialisti delle cosiddette branche a visita. A fronte di ciò, la reazione delle associazioni di categoria è il passaggio all’assistenza indiretta, ovvero: le ricette per le principali prestazioni (per le quali si paga normalmente solo il ticket) non saranno più accettate dal primo gennaio. E i pazienti pagheranno per intero. “Per esempio – spiega Nicola Ippolito, presidente di Asilab – l’emocromo costerà 5 euro e così anche l’esame delle urine. Per il Psa si pagheranno 6 euro. E allo stesso modo per tutti gli altri esami. Non possiamo fare altrimenti perché l’alternativa è fallire”. Secondo le principali associazioni di categoria il governo nazionale ha deciso di tagliare il budget ai convenzionati per recuperare risorse da destinare a nuove prestazioni da finanziare ai pazienti col servizio pubblico, prima fra tutte la procreazione assistita. Il provvedimento del ministero alla Sanità, varato a fine giugno, è stato impugnato al Tar. E in Sicilia, oltre allo scontro giudiziario, le sigle del settore hanno scelto di pressare sul governo Schifani, che, pur non avendo alcuna responsabilità sulle nuove tariffe, adesso dovrà gestire una protesta dall’esito imprevedibile. Cimest, che raggruppa numerose associazioni sindacali, ha chiesto ufficialmente al governo Schifani di non recepire il nuovo decreto, mantenendo in vigore le attuali tariffe. Salvatore Calvaruso, presidente Cimest, ribadisce: “Ci appelliamo al governo siciliano per ritardare l’attuazione del decreto e l’entrata in vigore delle nuove tariffe. E ciò al fine di salvaguardare il diritto alla salute dei cittadini siciliani e le attuali condizioni occupazionali delle strutture accreditate. Sia ben chiaro, dal primo gennaio centinaia di prestazioni specialistiche non saranno più erogate in convenzione, altrimenti si rischia il fallimento delle strutture convenzionate e la chiusura degli ambulatori pubblici per impossibilità di raggiungere la parità di bilancio” – conclude. E il direttore della Pianificazione strategica all’assessorato alla Sanità, Salvatore Iacolino, replica: “Conosciamo bene i problemi del settore, ma è giusto dire che non siamo liberi di decidere se recepire o meno il nuovo tariffario. Abbiamo avviato una istruttoria sul caso per capire quanto ci costerebbe restare fermi, visto che dovremmo compensare con fondi regionali la differenza fra le nuove tariffe in vigore in tutta Italia e le più favorevoli che resterebbero attive in Sicilia”.