E’ definitiva la sentenza di condanna a 30 anni di reclusione a carico della donna che ha avvelenato e ucciso il marito con il cianuro. Quanto accaduto è stato scoperto grazie all’amante di lei.
La Cassazione ha confermato e reso definitiva la condanna a 30 anni di carcere per omicidio volontario a carico di Loredana Graziano, 36 anni, di Termini Imerese, in provincia di Palermo, imputata, in abbreviato, di avere avvelenato con il cianuro il marito, Sebastiano Rosella Musicò, 40 anni, pizzaiolo, morto il 22 gennaio del 2019. Lui è stato uno sportivo, con ottima salute. Il decesso avvenne tra spasmi e dolori lancinanti. Si ipotizzò un infarto. Così sostenne il medico legale. I familiari non lo hanno mai creduto. Poi dalla perizia tossicologica, eseguita dal consulente della Procura, nel corpo del ristoratore emersero tracce di cianuro, un tipo di veleno non facile da reperire in commercio. Prima la donna avrebbe somministrato nel cibo al marito un farmaco anti coagulante, il Coumadin, con effetti tossici in caso di sovra-dosaggio. Non avendo ottenuto il risultato, avrebbe adottato la soluzione finale: una dose di cianuro. Quanto accaduto, raccapricciante e raggelante, è stato scoperto grazie a quanto raccontato da un uomo che fu arrestato un anno dopo la morte del marito di Loredana Graziano. L’uomo è stato l’amante di lei. E lei lo denunciò per stalking accusandolo di perseguitarla perché non rassegnato alla fine della relazione. L’uomo giurò: “E’ tutto falso”. E poi per testimoniare la pericolosità della donna svelò ai Carabinieri di essere a conoscenza dell’omicidio del marito di lei. La Procura dispose la riesumazione della salma. E l’autopsia riscontrò la presenza di cianuro. Il movente del delitto è stata l’insofferenza alla vita coniugale. Lei finora è stata ristretta ai domiciliari, che le sono stati concessi per occuparsi del figlio, di pochi anni. Le è stata sospesa la responsabilità genitoriale per tutta la durata della pena. Al beneficio dei domiciliari si sono opposti i familiari di Sebastiano Rosella Musicò, parte civile, Domenico e Maria Concetta Rosella Musicò, fratello e sorella della vittima, che, tramite gli avvocati Salvatore Sansone e Provvidenza Di Lisi, hanno scritto: “L’imputata aveva già avuto la possibilità di andare a vivere con il proprio figlio presso una casa famiglia nei pressi di Avellino, ove scontare la pena in regime di sorveglianza attenuata, ma incredibilmente ha rifiutato questa scomoda alternativa perché lontano da casa. Sostanzialmente le viene accordato il capriccio di scontare la pena, ora definitiva e meritatissima, ai domiciliari, per vivere comodamente dopo il gravissimo delitto che ha consumato. E’ una grandissima ingiustizia. Soltanto lo scorso 30 gennaio, la Corte di Assise di Appello di Palermo, confermando per l’imputata la sentenza di condanna per omicidio volontario aggravato alla pena di 30 anni, aveva respinto la richiesta di sostituzione della misura cautelare presentata dalla sua difesa evidenziando la gravità delle condotte poste in essere e quindi la persistenza della sua pericolosità. Ora il passaggio in giudicato della sentenza di condanna ci impegnerà a sollecitare la revoca di qualunque beneficio in favore di Loredana Graziano perché possa scontare la pena in carcere e non ai domiciliari. Sebbene attendessimo con sicurezza la conferma della sentenza di condanna, non ci rassegniamo all’ingiustizia che Graziano possa beneficiare del comodo trattamento degli arresti domiciliari”.