“La Procura di Palermo ha impedito a Borsellino di indagare sul dossier mafia e appalti”: l’intervento del colonnello dei Carabinieri del Ros, Giuseppe De Donno.
Il colonnello dei Carabinieri del Ros, Giuseppe De Donno, capitano all’epoca della ipotizzata – ma non riscontrata dalla Corte d’Assise d’Appello di Palermo e dalla Cassazione – trattativa tra Stato e mafia a cavallo tra le stragi del ’92 e del ’93, ha atteso il deposito da parte della Suprema Corte della sentenza definitiva di assoluzione al processo in cui è stato imputato a fianco del collega, oggi generale del Ros dei Carabinieri, Mario Mori, con il quale ha scritto un libro che a breve sarà pubblicato. E ad “Affari Italiani.it” ha concesso un commento, forse il primo della sua “carriera di imputato” (tra virgolette). E Giuseppe De Donno ha affermato: “Sicuramente sono contento per l’esito finale di tutta questa storia. Certo, ci sono voluti oltre 15 anni, ma quello che conta è che la Cassazione ha riconosciuto la nostra totale estraneità ai fatti contestati e ‘richiamato’ sia i pubblici ministeri sia le corti che ci hanno giudicato sul metodo applicato, visto che erano stati fatti sforzi investigativi immani per perseguire anche fatti o tesi che nulla avevano in comune con i reati a noi contestati. Con le nostre assoluzioni, di fatto, è stata riscritta la storia, in quanto è stata totalmente sconfessata la tesi accusatoria che voleva lo Stato in rapporti con Cosa Nostra. Qui non solo si accusavano le singole persone ma si metteva sotto accusa l’intero apparato governativo italiano, con accuse infamanti e gravissime”. E alla domanda sull’avere avvertito a suo carico una sorta di persecuzione, De Donno ha risposto: “Noi perseguitati? Magari di persecuzione non parlerei, ma di un accanimento senza precedenti sì. E credo che il nostro caso non sia stato isolato nella storia giudiziaria italiana”. Poi il colonnello, sollecitato sui contenuti del libro suo e di Mori sul famigerato dossier “mafia e appalti” dei Carabinieri del Ros, spiega: “La ragione di questo libro sta nella volontà di raccontare un impegno pluriennale in cui ci è stato più volte impedito di giungere ai risultati finali. Con il nostro lavoro dimostravamo che mafia, imprese e politici si spartivano gli appalti pubblici da buoni amici, senza necessità di minacce. Era un accordo paritetico che portava vantaggi a tutti, ma che da un punto di vista giudiziario ci avrebbe portati a contestare a tutti l’associazione mafiosa, il 416-bis del codice penale”. E poi? E’ stato impedito? E Giuseppe De Donno si toglie non il sassolino ma il sasso dalla scarpa, e risponde: “Lo ha impedito la Procura di Palermo, che non ha mai brillato per serenità, comunione di intenti o amicizia. Basti ricordare le vicende del ‘corvo’ di Palermo, quelle degli attacchi a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Basti pensare agli attacchi che subiva lo stesso Falcone a Palermo: leggendo i verbali del Consiglio superiore della magistratura per le varie controversie, ci si rende conto di cosa dicessero i colleghi di lui. Lo prendevano anche in giro. E non dimentichiamo il periodo di arrivo del dottore Borsellino a Palermo dove addirittura gli fu negata la delega a indagare in città”. Il riferimento è alla Procura di Palermo definita da Borsellino “un nido di vipere”, e Giuseppe De Donno ha concluso: “I principali nemici di Borsellino erano proprio in Procura, a iniziare dal procuratore capo Giammanco che aveva fatto di tutto per non permettergli di indagare sul dossier ‘mafia e appalti’. Gli aveva negato la delega a indagare sul territorio palermitano, lo teneva lontano dai grandi temi e solo la mattina della strage alle ore 7:30 si premurò di comunicargli che aveva deciso di inserirlo nel gruppo di lavoro su Palermo. I mandanti delle stragi sono stati all’interno della Procura? Questo non posso dirlo con certezza, ma certamente possiamo esser certi che in quegli uffici vi fossero i veri nemici del dottor Paolo Borsellino”.