Il processo “Picone” ad Agrigento: la Cassazione annulla anche la condanna per esercizio arbitrario delle proprie ragioni e trasferisce gli atti alla Corte di Appello civile. Le parti civili pagheranno 3.000 euro ciascuna.
Il 10 novembre del 2020, a Palermo, in Corte d’Appello, la Procura generale, al termine della requisitoria, ha invocato la conferma della sentenza emessa il 6 dicembre del 2018 ad Agrigento, dal giudice per le udienze preliminari del Tribunale, Alfonso Malato, che, a conclusione del giudizio abbreviato, ha condannato a 4 anni di reclusione, con interdizione dai pubblici uffici, l’avvocato Francesca Picone, imputata di estorsione e tentata estorsione. E ad 1 anno e 8 mesi di reclusione a carico della di lei sorella, Concetta Picone, consulente fiscale di un patronato. Il processo ruota intorno a presunte pretese illegittime, legate al pagamento delle parcelle professionali, a danno di clienti disabili. Il primo aprile del 2022 la Corte d’Appello di Palermo, presieduta da Vittorio Anania, ha dichiarato il non luogo a procedere per intervenuta prescrizione verso le sorelle Picone, previa riqualificazione del reato in esercizio arbitrario, e in alcuni casi tentativo di esercizio arbitrario, delle proprie ragioni. Pertanto i giudici di secondo grado non hanno ritenuto sussistenti le pretese estorsive, riqualificandole come esercizio arbitrario delle proprie ragioni, ovvero il reato per il quale è già intervenuta la prescrizione. Ecco perchè il non luogo a procedere. La sentenza d’Appello del primo aprile 2022 è stata impugnata in Cassazione da Francesca e Concetta Picone affinchè fosse annullata la sentenza d’Appello nella parte in cui ha riconosciuto sussistente il più blando reato dell’esercizio arbitrario delle proprie ragioni seppur dichiarato prescritto. Ed è stata impugnata in Cassazione, per ottenere la riforma della sentenza d’Appello e la conferma della sentenza di condanna di primo grado, dalle parti civili Carmela Arcuri, Giuseppina Cinzia Barbieri, Francesco, Calogero, Pasquale e Santina Schembri. La Suprema Corte ha accolto il ricorso delle sorelle Picone, ha rigettato il ricorso della Procura Generale della Corte d’Appello, ha dichiarato inammissibili i ricorsi delle parti civili, condannandole al pagamento di un’ammenda di 3.000 euro ciascuna, e ha trasferito gli atti, per un nuovo giudizio, innanzi alla Sezione Civile della Corte di Appello di Palermo, che, ormai esclusa qualsivoglia ipotesi di estorsione, dovrà valutare se, ai fini civilistici, sussista o meno il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni ed eventualmente se vi è stato danno. Francesca Picone è difesa dagli avvocati Angelo Farruggia e Valerio Spigarelli. Concetta Picone è assistita dagli avvocati Fabrizio Siracusano e Annalisa Russello. L’avvocato Angelo Farruggia commenta: “Alla soddisfazione professionale che esprimo a nome dell’intero collegio difensivo, composto dagli avvocati Valerio Spigarelli, Fabrizio Siracusano e Annalisa Russello, si accompagna l’amarezza per il martirio mediatico a cui è stata sottoposta la collega avvocato Francesca Picone, attraverso ben tre servizi televisivi mandati in onda dalle “Iene di Italia Uno” e poi censurati dalla giustizia civile. A fronte della pubblica condanna mediatica che ha accompagnato, e io ritengo, in parte turbato, il sereno svolgimento del processo, abbiamo dovuto attendere sette lunghi anni, affinché le ragioni della nostra assistita, condannata in primo grado per avere chiesto il pagamento dei compensi per l’opera professionale svolta, trovassero riconoscimento in sede giudiziale”. E l’avvocato Francesca Picone, invitata ad un commento, ha espresso “viva soddisfazione stigmatizzando il suo dispiacere nell’essere stata aspramente condannata da una magistratura agrigentina che, in primo grado, è rimasta indifferente alla dimostrazione certosina del suo buon operato, ma che ha voluto recepire acriticamente il racconto delle parti civili adesso condannate”.