La rete di protezione intorno a Matteo Messina Denaro e l’intervento dell’ex procuratore aggiunto di Palermo, Teresa Principato: “Il boss è certamente massone”.
L’arresto di Leo Sutera, capomafia di Sambuca di Sicilia, il 16 luglio del 2012, provocò quasi una rissa tra i magistrati della Procura di Palermo perché alcuni ritennero che Leo Sutera, se pedinato, li avrebbe condotti a Matteo Messina Denaro. Sutera, “u professuri”, avrebbe infatti ricevuto “pizzini” dal boss di Castelvetrano, li avrebbe letti in campagna, come testimoniato da alcune foto e filmati, e poi li avrebbe distrutti. A insistere con il procuratore di Palermo dell’epoca, Francesco Messineo, a non arrestare Leo Sutera per non bruciare la possibilità di catturare Messina Denaro, fu il procuratore aggiunto, Teresa Principato, che, quando si rivolse a Messineo per ritardare l’arresto degli agrigentini, lui, Messineo, le rispose: “Ce la fai a prendere Messina Denaro in una settimana? Sennò li arrestiamo tutti perché la popolazione non può continuare a subire questo gruppo mafioso, e senza Sutera non ha senso, l’operazione perde efficacia”. Leo Sutera fu arrestato, e la Principato ricorda: “Non ritenevo ci fossero più le condizioni per rimanere alla Procura di Palermo. Mi costò molto andarmene. Ero arrabbiata, delusa. Tanto da pensare che non ci fosse la reale volontà di catturare il latitante. Lo credevano anche altri miei colleghi e diversi investigatori”. Adesso, dopo l’arresto di Matteo Messina Denaro, lei, Teresa Principato, in pensione, si è soffermata ancora sulla rete di protezione di cui ha beneficiato il boss. E ha spiegato: “Matteo Messina Denaro è certamente massone. Come si può pensare che la mafia, che ha una tradizione di collegamento con la massoneria, non usufruisca di tutte le possibilità che la massoneria offre? Si può dire che una parte importante della rete di protezione di cui godeva il boss era della massoneria. Ma una parte era anche della politica ‘deviata’. Del resto, il padre di Matteo, Francesco Messina Denaro, era campiere del senatore D’Alì, oggi detenuto per concorso esterno alla mafia. E poi aveva impiegato il fratello, Salvatore, nella banca di D’Alì a Trapani, città molto famosa al tempo per il numero infinito di sportelli bancari e per i centri massonici. Noi avevamo anche arrestato Leonardo Bonafede, padre di Andrea, la cui identità Messina Denaro usava negli ultimi tempi. Bonafede era un personaggio conosciutissimo a Campobello di Mazara, dove Messina Denaro avrebbe vissuto negli ultimi due anni. Campobello è un paese ad altissima densità mafiosa dove lui aveva miriadi di appoggi, per lui era come Castelvetrano. Quello che sconcertava è il consenso. Matteo era la gallina dalle uova d’oro, aveva uno spirito imprenditoriale veramente notevole, era colui che trovava lavoro per tutti. Poi abbiamo accertato che Matteo Messina Denaro viaggiava moltissimo, e non solo in Italia. Abbiamo accertato viaggi in Inghilterra, poi in Brasile, a Curitiba, la capitale del Paranà, che era un centro di coordinamento con logge massoniche di moltissime parti del Brasile. E lui trovava rifugio tranquillamente. Così come in Spagna”.