La Procura Generale di Palermo ha invocato la condanna a 10 anni e 8 mesi di reclusione per il “re dell’eolico” Vito Nicastri, presunto finanziatore della latitanza di Messina Denaro.
Il 21 gennaio del 2021, l’imprenditore trapanese Vito Nicastri, conosciuto come “il re dell’eolico” per avere accumulato una fortuna con le energie rinnovabili, è stato assolto dall’imputazione di concorso esterno in associazione mafiosa dalla Corte d’Appello di Palermo allorchè sarebbe stato uno dei finanziatori della latitanza del boss Matteo Messina Denaro. In primo grado, per la stessa imputazione, Nicastri, giudicato in abbreviato, è stato condannato a 9 anni di reclusione. I giudici d’Appello hanno invece confermato la condanna per intestazione fittizia di beni, irrogando all’imprenditore una pena di 4 anni. Poi la Cassazione, accogliendo il ricorso della Procura Generale di Palermo, ha annullato con rinvio l’assoluzione. Pertanto Vito Nicastri è stato sottoposto ad un secondo processo in Corte d’Appello. Ebbene adesso la Procura Generale, a conclusione della requisitoria, ha invocato la condanna dell’imprenditore a 10 anni e 8 mesi di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa e intestazione fittizia di beni. Vito Nicastri ha già patteggiato una condanna a 2 anni e 8 mesi di reclusione dopo avere confermato di avere pattuito una tangente da 500mila euro destinata a dirigenti della Regione Siciliana per favorire gli interessi imprenditoriali nel settore delle energie alternative suoi, di suo figlio Manlio, e degli imprenditori genovesi Paolo e Francesco Arata, padre e figlio. Del mezzo milione di euro, 100 mila euro sono stati consegnati, ed il saldo sarebbe stato pagato ad operazioni concluse. Nell’ambito di tale inchiesta sono stati arrestati l’ex dirigente dell’assessorato regionale all’Energia, Alberto Tinnirello, e l’ex funzionario dell’assessorato al Territorio e ambiente, Giacomo Causarano. E Vito Nicastri ha dichiarato: “A Causarano davo con cadenza quasi mensile somme di denaro in contante. Gli ho consegnato personalmente nei miei uffici circa 100 mila euro, in tranche da 10 mila, 12 mila euro, denaro che poi secondo quanto riferitomi da lui avrebbe dovuto consegnare a Tinnirello. Il denaro di volta in volta consegnato mi veniva fornito da Francesco Isca, in banconote da 50 e 100 euro”. Francesco Isca è un imprenditore trapanese più volte indagato per mafia e per avere riciclato i soldi delle cosche di Calatafimi.