La Cassazione si è pronunciata sul ricorso della Procura Generale di Palermo contro la sentenza d’Appello al processo sulla presunta trattativa tra Stato e mafia all’epoca delle stragi. Confermate le assoluzioni.
Lo scorso 10 ottobre la Procura Generale di Palermo ha impugnato in Cassazione la sentenza assolutoria d’Appello al processo sulla presunta trattativa tra Stato e mafia all’epoca delle stragi del ’92 e del ‘93. In particolare, la Procuratrice generale di Palermo, Lia Sava, e i sostituti Giuseppe Fici e Sergio Barbiera, hanno letto le poco meno di 3000 pagine delle motivazioni depositate lo scorso 6 agosto dalla Corte d’Assise d’Appello, presieduta da Angelo Pellino, a latere Vittorio Anania, che il 23 settembre del 2021 hanno emesso la sentenza di secondo grado nell’ambito dell’inchiesta sulla presunta trattativa a carico di sei imputati del reato di minaccia e violenza a Corpo politico dello Stato, articolo 338 del Codice penale, ossia gli ex ufficiali del Ros dei Carabinieri, Mario Mori, Antonio Subranni e Giuseppe De Donno, l’ex senatore Marcello Dell’Utri, e i boss Leoluca Bagarella e Antonino Cinà. Tutti assolti tranne Bagarella con pena ridotta da 28 a 27 anni, e condanna confermata a 12 anni per Antonino Cinà. Ebbene, in sintesi, secondo tali motivazioni assolutorie, il dialogo – definito “improvvido”, avviato dai Carabinieri del Ros con la mafia tramite Vito Ciancimino – e l’atteggiamento di favore verso Provenzano, moderato, a scapito di Riina, stragista, vi sono stati a tutela dell’interesse generale dello Stato affinchè si evitassero altre stragi e quindi per fini “solidaristici”. Ancora ebbene, Sava, Fici e Barbiera non condividono il “principio Machiavellico” adottato dai colleghi giudicanti, ovvero che il fine della tutela dell’interesse generale dello Stato abbia reso necessario il mezzo per raggiungere lo stesso fine. Dunque, i tre magistrati hanno impugnato la sentenza di secondo grado e hanno presentato ricorso in Cassazione. E hanno sottolineato: “Abbiamo degli ufficiali dell’Arma dei Carabinieri che, senza alcuna investitura, sono riusciti a raggiungere gli uomini al comando di Cosa Nostra per sollecitare una risposta su eventuali loro pretese che avrebbe potuto porre termine ad una stagione sanguinaria di contrapposizione frontale con lo Stato, e così ritornare ad una pacifica convivenza fra le istituzioni della Repubblica e criminali assassini di Cosa Nostra. E’ stato deciso, senza alcun potere o investitura, di sollecitare il responsabile di gravissimi reati a chiedere cosa volesse in cambio per evitare ulteriori stragi, in violazione dei propri doveri funzionali e disattendendo precise indicazioni di netto segno contrario provenienti dai vertici istituzionali”. Ebbene, lo scorso 14 aprile la Procura Generale della Cassazione, a conclusione della requisitoria, ha invocato la conferma della sentenza di assoluzione per Marcello Dell’Utri, e poi un secondo processo d’Appello, quindi annullamento della sentenza di secondo grado con rinvio, per il boss Leoluca Bagarella, condannato a 27 anni, per il medico Antonino Cinà, condannato a 12 anni, e per i tre ufficiali del Ros assolti: Mario Mori, Antonio Subranni e Giuseppe De Donno. Ebbene, la Corte di Cassazione ha confermato le assoluzioni di Dell’Utri, e – con la formula “per non avere commesso il fatto” – di Mori, Subranni e De Donno. Il reato contestato a Bagarella e Cinà è stato riqualificato in tentato, ed è prescritto. Le reazioni, Mori: “Sono parzialmente soddisfatto considerando che per 20 anni mi hanno tenuto sotto processo. Ero convinto di non avere fatto nulla, il mio mestiere lo conosco, so che se avessi sbagliato me ne sarei accorto”. De Donno: “Abbiamo dovuto aspettare 20 anni per la verità. Ho sempre servito lo Stato e combattuto la mafia. Il nome del Ros e l’Arma sono stati infangati. Finalmente ci è stata restituita la dignità”. L’avvocato Francesco Centonze, difensore di Marcello Dell’Utri: “Questo processo non doveva neanche cominciare, alla luce di come è finito. Marcello Dell’Utri era estraneo a tutte le accuse e ora gli viene riconosciuto anche dalla Corte di Cassazione. La trattativa era insussistente. E in ogni caso Dell’Utri era estraneo. E’ chiaro che è stato un periodo durissimo, 30 anni di processo che avrebbero fiaccato chiunque. Non abbiamo mai dubitato che dovesse finire in questo modo”. Danila Subranni, figlia del Generale Subranni: “Onore ai combattenti. A quelli ancora in piedi e forti e a quelli seduti, per malattia e per stanchezza. Come mio padre. Arrivi vigore a tutti da questa sentenza, che dà la convinzione e anche la speranza che la giustizia, se sbaglia, può tornare indietro. Io non ho il dono della dimenticanza e per me chi sbaglia deve pagare. Magistrati onorevoli hanno finalmente restituito la dignità non a mio padre, non ai “combattenti” che mai l’hanno perduta, ma alla giustizia stessa di cui predicano il verbo. In altre sedi e in modo lineare, a testa alta, io e la mia famiglia chiederemo a uno a uno, nei linguaggi e nei modi che la legge consente, il risarcimento di tanto dolore inflitto che non ha portato bene neanche a loro, vergogna dello Stato. La Cassazione, confermando l’assoluzione per non avere commesso il fatto, silenzia per sempre le voci scomposte degli accusatori di professione e di occasione, e le voci degli ignoranti. La tela di ragno è stata squarciata dal vento, il loro castello si è infranto. Adesso, si pieghino e ne raccolgano, in silenzio, i pezzi”.