Le motivazioni della sentenza “Depistaggio”: il merito di Gaspare Spatuzza, l’anomalia dei Servizi segreti impegnati nelle indagini, i soggetti estranei a Cosa nostra nella preparazione della strage.
Altri dettagli sulle motivazioni appena depositate dalla sezione del Tribunale di Caltanissetta presieduta da Francesco D’Arrigo e relative alla sentenza emessa al processo di primo grado sul depistaggio delle indagini dopo la strage di via D’Amelio contro il giudice Paolo Borsellino e i poliziotti di scorta. In riferimento al depistaggio e al falso pentito Scarantino emersi dopo le dichiarazioni di Gaspare Spatuzza, i giudici scrivono: “Senza la successiva collaborazione di Gaspare Spatuzza, della falsità della collaborazione di Vincenzo Scarantino (e della falsa ricostruzione della strage di via D’Amelio che ne è derivata) non si sarebbe acquisita certezza. Tale circostanza deve fare riflettere sulle possibili disfunzioni, sotto il profilo dell’accertamento della verità, di vicende processuali incentrate prevalentemente su prove di natura dichiarativa provenienti da soggetti che collaborano con la giustizia. In altri termini, si è assistito al fallimento del sistema di controllo della prova al punto da determinare che, in ben due processi, sviluppatisi entrambi in tre gradi di giudizio, non si riuscisse a svelare tale realtà”. E poi, in riferimento alle indagini che subito dopo la morte di Borsellino sono state delegate ai Servizi segreti, i giudici scrivono: “I Servizi segreti non avrebbero potuto partecipare alle indagini sulla strage di via D’Amelio. Dell’impropria partecipazione del Sisde alle indagini non era al corrente solo il procuratore di Caltanissetta, Giovanni Tinebra (che pure la sollecitò), ma anche il vertice dei Servizi di sicurezza. E’ legittimo ritenere che il capo della Polizia di Stato e i vertici dei Servizi segreti non potessero assumere un’iniziativa senza un minimo avallo istituzionale che non poteva che provenire dall’organo di vertice politico dell’epoca, cioè l’allora ministro dell’Interno Nicola Mancino. Tinebra non sarebbe stato il solo magistrato a sapere del ruolo degli 007 nell’inchiesta. Sarebbe inspiegabile sul piano della logica ritenere che Tinebra abbia avviato lui solo la collaborazione con il Sisde. Se veramente così fosse stato, egli avrebbe tenuto il più possibile nascosti tali contatti mantenendo riservati i colloqui e non certo promuovendo la partecipazione dei magistrati della Procura a riunioni o pranzi con esponenti dei Servizi. E’ probabile che, pur essendo i magistrati della Procura pienamente a conoscenza di tale collaborazione, nessuno ritenne, anche in ragione del fatto che si trattava di un’iniziativa promossa dal capo della Procura, di sollevare (e soprattutto registrare, lasciandone traccia scritta) obiezioni rispetto ad una collaborazione con il Sisde che non era consentita”. E poi, in riferimento alle verità nascoste e all’ingerenza di soggetti terzi, i giudici scrivono: “La strage di via D’Amelio, tragica nel suo esito umano e deflagrante sul piano politico e istituzionale dell’epoca in cui si consumò, pone un tema fondamentale, quello della verità nascosta, o meglio non completamente disvelata. A dimostrare l’ingerenza di terzi soggetti sarebbero l’anomala tempistica della strage di via D’Amelio (avvenuta a soli 57 giorni da quella di Capaci), la presenza riferita dal pentito Gaspare Spatuzza di una persona estranea alla mafia al momento della consegna della Fiat 126 imbottita di tritolo, e la sparizione dell’agenda rossa di Paolo Borsellino. L’uomo che il pentito Spatuzza non aveva mai visto, non faceva parte di Cosa nostra. La presenza anomala e misteriosa di un soggetto estraneo a Cosa nostra si spiega solo alla luce dell’appartenenza istituzionale del soggetto, non potendo logicamente spiegarsi altrimenti il fatto di consentire a un terzo estraneo alla consorteria mafiosa di venire a conoscenza di circostanze così delicate e pregiudizievoli per i soggetti coinvolti come la preparazione dell’autobomba destinata all’uccisione di Paolo Borsellino”.