La Cassazione ha confermato la sanzione al presunto boss di Porta Nuova, Alessandro D’Ambrogio, per violazione del 41 bis. Lui già alla ribalta sul progetto di morte contro Di Matteo.
Alessandro D’Ambrogio, presunto boss palermitano di Porta Nuova, recluso al 41 bis, è stato sanzionato dal direttore del carcere di Novara che lo ha ammonito, il 14 luglio del 2021. Lui avrebbe colloquiato con i detenuti appartenenti ad un gruppo di socialità diverso dal suo. Nel frattempo, lui, D’Ambrogio, si è laureato in Giurisprudenza tra le sbarre. E il dottor D’Ambrogio ha presentato reclamo in Cassazione contro il cartellino giallo dell’ammonizione. La Suprema Corte ha risposto ‘no’, e lo ha condannato anche a pagare 3.000 euro alla Cassa delle ammende. Lui, D’Ambrogio, si è prima rivolto al Tribunale di Sorveglianza di Novara: “Ho soltanto salutato alcuni detenuti e questo non può essere considerato una forma di comunicazione, quindi non vi è alcun illecito disciplinare, e la sanzione è illegittima”. Anche il Tribunale di Sorveglianza, il 6 ottobre del 2021, ha risposto ‘no’. I magistrati hanno spiegato a D’Ambrogio che non è consentito il reclamo nel merito della sanzione, ma solo sulla legittimità del potere disciplinare. Tradotto: non puoi contestare il perché della sanzione, ma solo se colui che ti infligge la sanzione è legittimato ad infliggertela. Alessandro D’Ambrogio è stato alla ribalta delle cronache anche nell’ambito dell’ordine che Matteo Messina Denaro avrebbe impartito per uccidere il magistrato Nino Di Matteo. Il pentito Vito Galatolo, ex boss dell’Acquasanta, ha raccontato: “Nel dicembre del 2012 sul tavolo di una riunione di mafia vi è stata una lettera di Matteo Messina Denaro: l’ordine di compiere un attentato contro Di Matteo. Insieme a me hanno partecipato all’incontro il mio vice, Vincenzo Graziano, e i capi mandamento di San Lorenzo e Porta Nuova, Girolamo Biondino e Alessandro D’Ambrogio. Fu Biondino a portare la lettera di Messina Denaro, che metteva a disposizione un esperto di esplosivi per portare a termine l’azione. Nino Di Matteo doveva essere ucciso perché si era spinto troppo oltre”. E il pentito Alfredo Geraci, ex tuttofare di D’Ambrogio, ha raccontato: “Sono stato io a procurare l’appartamento a Ballarò per quella riunione. Non sono a conoscenza dei contenuti della discussione, ma Alessandro D’Ambrogio, in confidenza, mi indusse a capire che Messina Denaro aveva chiesto qualcosa ai mafiosi di Palermo. Mi ricordo l’appuntamento che mi è rimasto impresso, c’erano malumori perché praticamente si diceva che Giuseppe Fricano (reggente del mandamento di Resuttana) non era all’altezza di gestire il mandamento, dicevano che c’erano i Madonia seccati, dicevano che c’era Vito Galatolo nervoso per questa cosa. Un giorno mi chiamò Alessandro D’Ambrogio, il capo del mio mandamento di Porta Nuova, e mi disse che aveva bisogno di un locale dove fare una riunione. L’incontro fu organizzato in via Albergheria 97. C’erano Vito Galatolo, che scendeva da Venezia, Tonino Lipari, uomo del mandamento di Porta Nuova e referente di D’Ambrogio, poi Tonino Lauricella, responsabile della famiglia di Villabate, e c’era anche Giuseppe Fricano. Misi a disposizione la casa della sorella di mio suocero, un appartamento al secondo piano a Ballarò. Io rimasi giù per aprire il portoncino a chi arrivava”.