Le motivazioni della sentenza assolutoria al processo “Trattativa” e i riferimenti alla mancata perquisizione del covo di Riina subito dopo l’arresto. Botta e risposta tra Caselli e De Caprio.
I giudici della Corte d’Assise d’Appello di Palermo, presieduta da Angelo Pellino, motivando la sentenza assolutoria al processo sulla presunta trattativa tra Stato e mafia all’epoca delle stragi del ’92 e del ’93, hanno scritto che i Carabinieri del Ros si sono insinuati nella spaccatura tra gli stragisti di Riina e i moderati di Provenzano, e ciò a favore di Provenzano e a scapito di Riina che fu arrestato. E che, come segnale di buona volontà a proseguire il dialogo, i Carabinieri ritardarono la perquisizione del covo di Riina in via Bernini, consentendo che fosse ripulito. Ebbene, il capitano “Ultimo” che materialmente ammanettò Riina la mattina del 15 gennaio del ’93 sulla circonvallazione di Palermo, ovvero il colonnello Sergio De Caprio, ha appena dichiarato che la mancata perquisizione della villa del boss fu decisa non dai Carabinieri del Ros ma dalla Procura di Palermo, dove all’epoca si era appena insediato il procuratore Giancarlo Caselli che adesso, a fronte delle motivazioni dei giudici sulla trattativa, ha diffuso un intervento e ha replicato così: “La perquisizione del covo di Riina, subito dopo il suo arresto avvenuto il 15 gennaio 1993, fu chiesta dai vertici dei Carabinieri del Ros alla Procura di Palermo allo scopo di permettere lo sviluppo di indagini coperte sui soggetti che assicuravano protezione al boss”. E poi Caselli aggiunge: “Segnalo che in un memoriale pubblicato dal quotidiano ‘Il Riformista’ il 26 ottobre 2021, a firma del generale Mario Mori, comandante del Ros all’epoca dei fatti, si legge che la decisione di non perquisire subito era stata prospettata dal capitano Sergio De Caprio e da lui sostenuta. Come del resto già sostenuto in un documento ufficiale del Ros indirizzato all’epoca dei fatti alla Procura di Palermo, nel quale si spiegava che il rinvio della perquisizione era stato necessario per evitare ogni intervento immediato o comunque affrettato, e per non pregiudicare ulteriori acquisizioni che dovevano consentire di disarticolare la struttura economica e quella operativa facente capo a Riina”. Già in precedenza Giancarlo Caselli ha spiegato: “Noi volevamo perquisire subito il covo ma il capitano del Ros De Caprio disse di aspettare e io mi sono fidato. De Caprio era in quel momento un eroe nazionale, che aveva messo le manette al mitico, nel senso negativo del termine, Totò Riina. Ma questa sospensione, questo ritardo subordinato alla sorveglianza del sito che fu interrotta subito senza dirci nulla è una brutta pagina. Quando arrivarono le lettere di spiegazione dei Carabinieri, dissero che avevano sospeso senza avvertirci perché rientrava nell’autonomia decisionale e operativa della polizia giudiziaria. Io mi sono fidato. E’ stato un momento pessimo, molto brutto. Nella mia mente c’erano molti interrogativi. Io ero appena arrivato e dovevo ricostruire la Procura dopo le macerie del passato”. E a stretto giro di posta, il colonnello De Caprio ha controbattuto: “Quindi, l’eroe nazionale per la lotta al terrorismo, ovvero il giudice Giancarlo Caselli, aveva sudditanza psicologica verso il Capitano Ultimo. E’ questa la vera brutta pagina che emerge oggi. Chi aveva la responsabilità e il dovere di eseguire la perquisizione nel covo di Riina se ne deve assumere la piena responsabilità di fronte a se stesso e di fronte alla storia”.