L’intervento di Nino Di Matteo dopo il deposito delle motivazioni della sentenza sulla presunta trattativa tra Stato e mafia: “Legittimato il dialogo con la mafia”.
Il magistrato Nino Di Matteo, attualmente consigliere togato del Csm, il Consiglio superiore della magistratura, è tra i pubblici ministeri che hanno istruito il processo sulla presunta trattativa tra Stato e mafia all’epoca delle stragi del ’92 e del ’93. Adesso, apprese le motivazioni della sentenza assolutoria addotte dalla Corte d’Assise d’Appello di Palermo, Nino Di Matteo commenta: “La trattativa fra pezzi dello Stato e Salvatore Riina ci fu. E quella interlocuzione con il boss corleonese fu cercata da esponenti dello Stato subito dopo il sangue sparso con la strage di Capaci. E ciò con buona pace di quelli che hanno continuato a parlare di una fantomatica trattativa e di teorema del pubblico ministero”. Poi, ancora in riferimento alle motivazioni, Nino Di Matteo aggiunge: “A fronte della giustificazione dell’iniziativa, definita improvvida, del dialogo con la mafia avviato dai Carabinieri del Ros per un interesse generale dello Stato a evitare altre stragi, la sentenza potrebbe essere letta come una legittimazione a dialogare con la mafia, che faccia passare l’idea che con la mafia si può convivere. A tal proposito ricordo le parole del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che l’anno scorso, alla commemorazione per la strage di Capaci, disse: ‘Nessuna zona grigia, omertà: o si sta contro la mafia o si è complici dei mafiosi, non ci sono alternative’. Io continuo a pensare che il comportamento di uno Stato che cerca Riina, in nome di una ragione di Stato non dichiarata con un atto del potere politico, è inaccettabile in una democrazia. Ogni qualvolta lo Stato ha cercato il dialogo con la mafia ne ha accresciuto a dismisura un potere di ricatto notevolissimo”. E poi, in riferimento al tentativo dei Carabinieri del Ros di insinuarsi nel contrasto tra gli stragisti di Riina e i moderati di Provenzano, favorendo Provenzano e arrestando Riina, Nino Di Matteo aggiunge ancora: “E c’è anche un altro passaggio che leggo con preoccupazione tra le motivazioni: cioè che in sentenza si è affermato un principio che sembra giustificare la possibilità che si possa trattare con i vertici di Cosa Nostra per favorire una fazione piuttosto che un’altra, con il dichiarato intento di far cessare le stragi. Questo è un passaggio preoccupante, sembra quasi distinguere una mafia con cui si può dialogare e un’altra da sconfiggere. Inoltre l’intento di far cessare le stragi tramite una trattativa è un argomento già affrontato in una sentenza ormai definitiva della Corte d’Assise di Firenze in cui si è affermato che quella iniziativa dei Carabinieri del Ros di contattare Vito Ciancimino avesse rafforzato in Riina il convincimento che la strategia di attacco alle istituzioni pagasse, inducendolo a fare altre stragi. In tale ambito è ulteriormente inquietante che, come io e i miei colleghi avevamo sostenuto nel processo di primo grado, la mancata perquisizione del covo di Riina dopo il suo arresto sia stata un segnale per incoraggiare il dialogo a distanza. E quindi per rafforzare la trattativa in corso. Oggi la sentenza sottolinea la gravità evidente dell’omissione di un atto doveroso da parte di una struttura di polizia giudiziaria quale sarebbe stata la perquisizione del covo di Riina”. E poi Nino Di Matteo conclude: “Mi chiedo con preoccupazione cosa penserebbero oggi le decine di esponenti delle istituzioni, non solo magistrati, ma agenti di polizia, carabinieri, anche politici, che nel contrasto alle cosche mafiose per il rifiuto al dialogo e al compromesso hanno perso la vita. Alla luce di questa sentenza – che non condivido e che spero sia impugnata – sono fiero di avere, insieme ai miei colleghi Vittorio Teresi, Roberto Tartaglia, Francesco Del Bene e Antonio Ingroia, contribuito a fare emergere fatti storici ritenuti dai giudici provati, fatti che hanno attraversato la storia opaca e ancora in parte da chiarire dello stragismo mafioso nel nostro Paese”.