Riflessioni a 30 anni dalle stragi e sull’incognita dei mandanti esterni: l’intervento della prima procuratore generale donna di Palermo, Lia Sava.
Lia Sava, 58 anni, è la prima donna procuratore generale di Palermo: l’ha nominata il plenum, l’assemblea plenaria, del Csm, il Consiglio superiore della magistratura, lo scorso 23 marzo, dopo che in una seduta precedente l’altro candidato, Luigi Patronaggio, procuratore della Repubblica di Agrigento, è stato scelto come procuratore generale di Cagliari. Lia Sava è stata, da ultimo, procuratore generale di Caltanissetta e ha svolto tutta la carriera tra Bari, città di cui è originaria, e Palermo, dove ha lavorato nella Direzione distrettuale antimafia sin dai tempi del procuratore Gian Carlo Caselli. E’ stata tra i pubblici ministeri dell’inchiesta sulla presunta trattativa Stato-mafia. Adesso sono state diffuse delle sue riflessioni in occasione dei 30 anni dalle stragi di Capaci e via D’Amelio. E anche Lia Sava, così come già tanti altri suoi colleghi, volge attenzione verso i presunti mandanti esterni. E afferma: “Sulle stragi del ’92 e del ’93 mancano dei pezzi che potrebbero riguardare i cosiddetti concorrenti esterni, cioè entità esterne a Cosa Nostra che potrebbero aver dato un ausilio alla realizzazione. Nelle sentenze del processo ‘Capaci bis’ in Cassazione e in quelle passate in giudicato del ‘Borsellino quater’ è scritto che ci sono ancora delle piste da esplorare. Le procure di Palermo, Caltanissetta, Reggio Calabria, Firenze dovranno cercare la verità a 360 gradi, sotto l’egida della Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo voluta proprio da Falcone. Uno dei grandi collaboratori di giustizia, Antonino Giuffrè, riferendosi alla fase antecedente alle stragi, parla di ‘tastata di puso’ (tastata di polso), cioè una sorta di sondaggio che Cosa Nostra farebbe tra favorevoli e contrari a un’esecuzione in determinati ambienti: si parla di servizi segreti e massoneria deviati, e imprenditoria collusa con la mafia. In queste dichiarazioni generiche ci sono spunti per proseguire le indagini”. E poi Lia Sava ha aggiunto: “Le stragi hanno letteralmente cambiato la mia vita, se non ci fossero state avrei proseguito il percorso da giudice civile scelto da ragazza. Invece ho pensato ci potesse essere un altro modo per dare una mano a quei colleghi arrivati in Sicilia da tante regioni d’Italia nel 1992. C’era questo grosso slancio, si capiva che eravamo in guerra, non avevamo neanche 30 anni e volevamo aiutare questo Paese ferito”. Poi, in conclusione, Lia Sava tasta lei il polso allo stato di salute della mafia e, soprattutto in riferimento alle forme di guadagno illecito come il pizzo, le estorsioni, conclude: “Si paga ancora tanto e troppo, questo significa che, nonostante l’impegno dei singoli e delle associazioni, qualcosa non ha funzionato. Occorre far capire alle persone che se denunci lo Stato ti accompagna con una legislazione all’avanguardia e che lo Stato non lascia soli. E poi, oltre al recupero dei detenuti, dobbiamo dare un lavoro alle loro famiglie, aiutare mogli e figli di quelli che arrestiamo, renderli autonomi, altrimenti si crea un legame perverso, malefico e fetido tra la mafia e quella famiglia. Non basta mandare in carcere, dobbiamo sottrarre ai quartieri il consenso della mafia”.