Il trentesimo anniversario della strage di via D’Amelio e la testimonianza dell’unico sopravvissuto all’esplosione, il poliziotto Antonino Vullo.
Il 19 luglio 2022, il trentesimo anniversario della strage di via D’Amelio, e la memoria storica di un sopravvissuto all’esplosione, il poliziotto Antonino Vullo, che, in occasione della dolorosa ricorrenza, afferma: “Il 19 luglio per me è tutti i giorni, ma lo deve essere per tutti perché il sacrificio di chi ha lavorato per la nostra terra non deve essere dimenticato. Il 19 luglio deve essere vissuto durante gli atti giornalieri di vita quotidiana, durante tutte le nostre azioni, per un futuro migliore che solo così lo potremmo avere. In questi trent’anni migliaia di persone si sono recate alle celebrazioni della commemorazione, ma io in via D’Amelio ci vado da solo anche durante l’anno. E ci vado perché ancora il ricordo di quel giorno rimbomba nella mia mente”. E poi, a fronte della sentenza appena emessa al processo di primo grado sul “depistaggio”, Antonino Vullo commenta: “Trent’anni non sono pochi per ricostruire e dare un nome alle menti raffinatissime che hanno organizzato tutto questo. Si continuano a cercare risposte cercando di mettere insieme tutti i tasselli di un depistaggio. I tre poliziotti non possono essere stati loro gli artefici del depistaggio. Forse hanno eseguito degli ordini che sono giunti dall’alto. Sono stanco e amareggiato perché dopo 30 anni c’è tanto ancora occultato tra le istituzioni, ma bisogna arrivare ad una verità storica sulle due stragi”. E poi Antonino Vullo ricorda il pomeriggio della strage: “Ancora oggi non mi abbandona l’immagine di quando gli agenti mi hanno bloccato la prima volta, mentre cercavo di raggiungere i miei colleghi, e sotto il mio piede ho trovato quello di Claudio Traina che fino a qualche istante prima era seduto in macchina accanto a me. Poi mi bloccarono una seconda volta. Era tutto nero”. E poi conclude: “I miei due figli (il più grande ha compiuto 30 anni) hanno deciso di prendere strade diverse dalla mia. Nessuno dei due indossa la divisa che io ho portato con orgoglio, era il mio sogno da ragazzino e l’ho fatto fino alla fine. Lo rifarei perché ho avuto la possibilità di lavorare con il giudice Paolo Borsellino, un magistrato che meritava tantissimo e si poteva fare tantissimo, ma lo Stato di quel momento non ha voluto”.