Scaduto il termine di maggio: proroga a novembre al Parlamento per intervenire sull’incostituzionalità dell’ergastolo ostativo, ovvero il carcere a vita senza benefici ai mafiosi non collaboratori della Giustizia.
Il 15 aprile del 2021 è stata emessa l’attesa sentenza della Corte Costituzionale nel merito della questione di legittimità costituzionale dell’ergastolo ostativo, ossia del no alla liberazione condizionale e ad altri benefici carcerari per i detenuti condannati per reati di mafia che abbiano scontato 26 anni di carcere e che non hanno collaborato con la giustizia. Quando invece la libertà condizionata e altre premialità sono concesse a tutti gli altri detenuti con 26 anni di carcere sulle spalle. Si tratta di quanto prevede l’articolo 4 bis comma 1 dell’ordinamento penitenziario su cui si è pronunciata la Corte Costituzionale. Ebbene la Consulta ha dichiarato incostituzionale l’ergastolo ostativo ma – attenzione – la Corte ha aggiunto che la norma sull’ergastolo ostativo sarebbe stata ancora applicata, almeno fino a quando il Parlamento non avrebbe deciso di intervenire. Il termine per la decisione del Parlamento è stato fissato al maggio 2022. Ebbene, adesso il termine è scaduto. Camera e Senato non hanno concluso ancora i lavori, o quasi. E pertanto la Corte, presieduta da Giuliano Amato, ha concesso a Montecitorio e a Palazzo Madama ancora tempo, fino al prossimo novembre. Tanti magistrati e addetti ai lavori antimafia hanno già sollevato le barricate contro un eventuale accoglimento della tesi della non costituzionalità dell’articolo sull’ergastolo ostativo, perché, tra l’altro, ciò è stato una delle richieste contenute nel ‘papello’ di Totò Riina. A fronte di ciò, in sintesi, la Corte Costituzionale si è opposta così: “L’ergastolo ostativo è in contrasto con gli articoli della Costituzione 3, sull’uguaglianza di tutti i cittadini innanzi alla legge, e 27 secondo cui le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. Ed è in contrasto anche con l’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo ovvero: ‘Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti”. E poi, sul rimpallo della decisione finale al Parlamento, la Corte Costituzionale prosegue così: “Appartiene alla discrezionalità legislativa, quindi del Parlamento, decidere se e come eliminare la collaborazione con la Giustizia quale unico strumento per accedere alla liberazione condizionale”. E poi ancora: “La scelta di non collaborare può esser determinata da ragioni che nulla hanno a che vedere con il mantenimento di legami con le associazioni criminali. Tale scelta può essere vissuta in maniera drammatica. Infatti, in casi limite può trattarsi di una ‘scelta tragica’ tra la propria (eventuale) libertà, che può tuttavia comportare rischi per la sicurezza dei propri cari, e la rinuncia alla libertà, quindi a collaborare, per preservare i propri cari da pericoli”.