Fra gli scritti su Leonardo Sciascia ai quali ho lavorato, anni fa pubblicai un microsaggio sul suo lavoro editoriale: si intitolava “Il Rabdomante della Memoria“, fu pubblicato sulla rivista El Aleph, e si focalizzava sull’attività di ricerca e selezione che ha dato forma a straordinarie collane come “La civiltà perfezionata” e “La memoria”, che Elvira ed Enzo Sellerio avevano affidato allo scrittore di Regalpetra.
Sciascia era un avido lettore di gialli, acquistava anche quelli di largo consumo, rapidamente bevibili durante i suoi viaggi in treno; un giorno gli capitò sotto mano uno dei tanti gialli settimanalmente pubblicati da Mondadori, intitolato “La morte alla finestra“, di un misconosciuto Geoffrey Holiday Hall.
Il Nostro riconobbe subito che in quella scrittura c’era un quid in più rispetto agli scrittori medi di quella collana, sfogliando le pagine si rese conto che quel romanzo non era opera di un autore “di genere” ma di uno scrittore “tout court” (parole sue). Animato da naturale istinto rabdomantico, volle saperne di più e contattò Alberto Tedeschi, allora curatore della collana, ma anche dalle parti di Mondadori non sapevano granché di questo “giovane e nuovo” (così recitava la presentazione editoriale) scrittore. Pubblicati due romanzi, l’autore sembrava essersi dissolto nel nulla, dileguato senza lasciare traccia, e a chi abbia familiarità con Sciascia non suonerà strano quanto questo abbia stuzzicato la sua fantasia, che da questo “mistero” vedeva dipanarsi il filo di una trama da detective story di natura editoriale che non vide mai la soluzione dell’enigma, ma che a quasi 40 anni dalla prima lettura lo portò comunque a sottoporre il testo del misterioso autore a Elvira Sellerio, che ne approvò la pubblicazione rendendo giustizia al titolo originale, “The end is known“.
Oggi di Holiday Hall si sa poco più di allora: Sellerio pubblicò il secondo romanzo a sua firma, “The Watcher at the Door“, mentre da “La fine è nota” è stato tratto un film diretto da Cristina Comencini. Grazie al lavoro editoriale di Sciascia l’autore ha oggi conosciuto in Italia una notorietà che non ha eguali in nessun’altra nazione del mondo, neanche nei suoi Stati Uniti. Ve ne accorgerete facilmente operando una rapida ricerca sul web, e dobbiamo ringraziare l’autore di “Todo Modo” per aver messo sotto i riflettori – a giovamento dei lettori italiani – questo piccolo gioiello letterario.
Di Geoffrey Holiday Hall si sa poco più, dicevo, ma la sua figura rimane ancora avvolta nel mistero: si sa per certo che abbia vinto il Grand Prix de la Littérature Policière qualche anno prima che Patricia Highsmith ne fosse insignita grazie a “The Talented Mr. Ripley“, che fu finalista al Premio Edgar, ma luogo e date di nascita e morte rimangono a oggi incerte, come lo è l’unica foto a lui attribuita, facendo dell’autore un po’ un Thomas Pynchon del giallo novecentesco; in un interessante articolo intitolato “L’autore che non c’è“, qualche anno fa Gabriele Romagnoli ha lanciato una suggestiva ipotesi, collegando il titolo del romanzo (esplicita citazione dal Julius Caesar di Shakespeare) a un artista che dal drammaturgo inglese era ossessionato, Orson Welles, tirato in ballo come possibile autore celato dietro il nome “apocrifo” (inteso nel senso strettamente legato all’etimo greco della parola, in quanto autore “nascosto” dietro lo pseudonimo). La supposizione sarebbe corroborata anche dal fatto che il secondo romanzo di Holiday Hall richiama molto “Il terzo uomo” per trama e atmosfere, e ovviamente troverebbe riscontro nella naturale tendenza del regista americano allo scherzo e al nascondimento.
Purtroppo la tesi non ha alcuna prova o dato fattuale a cui appoggiarsi, e forse resterà sempre un’ipotesi suggestiva, quasi al pari di quelle quelle con cui Sciascia soleva chiudere i suoi saggi per spiegare la scomparsa di Majorana o la morte di Raymond Roussel. Ma della sua identità in fondo poco importa: quel che conta di un intellettuale è sempre il lascito, e se Holiday Hall ci ha lasciato queste pagine, il Maestro di Regalpetra le ha scovate e donate ai lettori attraverso un lavoro editoriale meno conosciuto ma non di minore importanza anche rispetto alla sua inarrivabile produzione letteraria (Leonardo Sciascia è il settimo Nobel italiano che non abbiamo avuto, ma questa è un’altra storia).
Il romanzo di Geoffrey Holiday Hall è uno dei diamanti grezzi che senza la sua opera di attenta rabdomanzia avremmo certamente perso, un’opera che a distanza di più di mezzo secolo serba un’eleganza narrativa che solo un occhio attento alle belle lettere ha permesso non cadesse nell’oblio, confondendosi tra le migliaia di romanzetti facilmente consumati nelle trasferte ferroviarie, e che rende giustizia a un autore di cui non si conosce la storia, sì, ma del quale rimangono le storie: che è poi l’unica cosa che importa ricordare degli scrittori, specie se di pregio.