Dino Buzzati è stato uno dei letterati più versatili che l’Italia abbia mai avuto, ha sfornato romanzi straordinari, è stato un ottimo autore di racconti, ha scritto favole, poesie, libretti musicali, opere teatrali, è stato giornalista del Corriere della Sera quando era ancora un incarico di grande prestigio ed è stato un pittore alquanto stimato.
Le arti visive per lui non erano un passatempo, insomma, e probabilmente nessuno meglio di lui poteva dare vita a quello che è il primo graphic novel italiano. O “Poema a fumetti”, appunto. Un’opera difficilissima da concepire e pubblicare a quel tempo. I comic book alla fine degli anni ’60 erano visti forse peggio di come oggi sono visti i videogiochi, derubricati a “roba per bambini” se non a “robaccia volgare”, nel migliore dei casi. Al punto che – ne la prefazione a “Vita e dollari di Paperon de’ Paperoni”, pubblicato da Mondadori nel ’68 – Buzzati scriverà “colleghi e amici, quando per caso vengono a sapere che io leggo volentieri le storie di Paperino, ridono di me, quasi fossi rimbambito”.
Incredibile che a schermirsi così fosse uno dei più grandi scrittori italiani, ma è utile un po’ per capire con che animo Buzzati andasse affrontando la sua prima e unica e opera a fumetti, che – se da un lato era un lavoro fortemente sperimentale, che univa e sublimava il suo lavoro da scrittore con quello di artista visivo – dall’altro lo poneva in una condizione di grande rischio nei confronti della critica, e ne sentiva tutto il peso. Ma del resto era già successo qualcosa di simile alla pubblicazione di “Un amore”, criticato per la sua diversità dalla produzione precedente e che per questo lui sentiva di difendere.
Quel romanzo rimane a oggi uno dei suoi lavori più belli, come lo è senza dubbio “Poema a fumetti”, un’opera ricca di temi buzzatiani, dove convivono le molte anime dell’autore – l’eterno asse oppositivo vita-morte su tutti – e nelle cui pagine lo scrittore, rivisitando il mito di Orfeo ed Euridice, incontra l’artista visivo, e mai connubio poteva essere più felice. Si tratta di un’opera coraggiosa, fortemente rischiosa anche sul piano dei contenuti, per l’epoca, data la cripticità, la carica simbolica e soprattutto l’esplicita carica erotica di cui sono permeate molte pagine (cosa che ad esempio non piacque a Montanelli, che come tutti i conservatori tendeva a deprecare i peccati di lussuria quando non fosse lui a commetterli). Compie al contempo un’operazione molto dotta, Buzzati, non lesinando citazioni e omaggi agli artisti che più lo hanno influenzano, spaziando da Dalì a Irving Klaw passando per Rackham e Caspar Friedrich. Non fu facile pubblicarla neanche per lui, che aveva già vinto lo Strega e il cui nome era ampiamente conosciuto al pubblico.
Ma alla fine Arnoldo Mondadori si decise a dare alle stampe questo libro stupefacente, portentoso, di un’epica quasi faustiana, molto avanti rispetto al suo tempo, e oltre lui devo ringraziare moltissimo Sabrina per questa straordinaria scoperta.