Le due opere, L’ultimo Custode – Storia della Chiattulidda e L’anima del Clown, si configurano come due narrazioni profondamente intime e autobiografiche, ma al tempo stesso universali. Attraverso esse si delinea un percorso che intreccia storia personale e memoria collettiva, identità e alterità, cura del passato e ricerca del sé autentico. Queste opere non sono solo espressioni artistiche, ma veri e propri atti sociologici, capaci di interrogare il lettore/spettatore sul senso del vivere, del tramandare e del riconoscersi.
L’ultimo Custode – Storia della Chiattulidda: la memoria come resistenza. Questa opera narra una storia d’amore, fatta di sogni, speranze e missione. L’amore è qui inteso non solo come legame affettivo, ma come atto di custodia: amore per la terra, per la tradizione, per ciò che rischia di perdersi nel tempo. Il protagonista è il “custode”, colui che si fa carico della responsabilità etica e sociale di salvaguardare la varietà di grano autoctono “Chiattulidda”. Questa figura diventa simbolo del resistente culturale, che si oppone alla logica dell’omologazione e del consumo, portando avanti un sogno collettivo attraverso la memoria viva.
Dal punto di vista sociologico, il custode incarna la figura di chi si colloca tra passato e futuro, mediatore di saperi e identità. In una società post-moderna, segnata dalla perdita di radici e dalla frammentazione, la sua missione diventa atto di ricostruzione del tessuto comunitario e riappropriazione del territorio. Il grano, in questo senso, è metafora della cultura, della vita che si rigenera attraverso la cura.