Edward Berger, regista capace di tessere con mano ferma atmosfere dense di tensione e introspezione, firma con Conclave un’opera che sembra sfuggire al tempo, sospesa tra il rigore della tradizione e l’urgenza della contemporaneità. Il film è l’adattamento cinematografico del celebre romanzo di Robert Harris, ma nelle mani di Berger diventa un’analisi viscerale del potere e della fede.
L’ambientazione nel cuore del Vaticano durante l’elezione di un nuovo Papa è il palcoscenico perfetto per un dramma che intreccia religione, politica e ambizione personale, sollevando interrogativi profondi su morale e potere.
La narrazione si snoda all’interno di un conclave, un rito antico che qui assume i contorni di un thriller psicologico e politico. Il cardinale Thomas Lawrence, interpretato da un Ralph Fiennes in stato di grazia, è il cuore pulsante del film. La sua performance è straordinaria, non solo per la capacità di incarnare le tensioni interne di un uomo che deve navigare in un mare di intrighi e segreti, ma anche per la sua presenza magnetica, capace di dominare la scena con una naturalezza disarmante. Fiennes riesce a dare profondità al suo personaggio, un uomo diviso tra la devozione religiosa e le dinamiche mondane di un conclave che appare più come un teatro politico che come un rituale sacro.
Sergio Castellitto e Stanley Tucci offrono ottime prove, interpretando rispettivamente i cardinali Tedeschi e Bellini. Se Castellitto dà vita a un ecclesiastico conservatore di impronta antislamico, Tucci riesce a dare spessore a un personaggio complesso, la cui influenza si estende ben oltre le mura del conclave.
La regia di Berger si distingue per una sobrietà raffinata che riesce a tenere lo spettatore avvinto dall’inizio alla fine. Le scelte stilistiche privilegiano un ritmo misurato, quasi liturgico, che si sposa perfettamente con l’ambientazione ecclesiastica. Berger mostra una padronanza straordinaria della messa in scena: i movimenti di camera enfatizzano la solennità dell’ambiente e l’intimità delle interazioni tra i personaggi: le inquadrature statiche e simmetriche dei corridoi vaticani richiamano l’idea di ordine e autorità, mentre i primi piani intensificano il dramma personale dei protagonisti. Il regista utilizza inoltre con maestria la profondità di campo, spesso contrapponendo i personaggi in primo piano a sfondi maestosi, creando un senso di piccolezza umana rispetto alla grandezza dell’istituzione che rappresentano.
La fotografia è uno degli aspetti che più colpiscono in Conclave. La palette cromatica è dominata da toni freddi, che accentuano la natura austera e quasi spettrale degli interni vaticani. Il gioco di luci e ombre è magistrale: le ombre profonde che avvolgono i personaggi durante i momenti di tensione suggeriscono segreti e complotti, mentre la luce dorata filtrata attraverso le vetrate colorate conferisce un senso di sacralità agli ambienti. Particolarmente memorabili sono le scene ambientate nella Cappella Sistina, dove la magnificenza degli affreschi di Michelangelo viene contrapposta alla meschinità dei giochi di potere. La fotografia non è solo estetica, ma funzionale alla narrazione: in diverse scene, il contrasto tra luce e ombra diventa una metafora visiva del dualismo tra il sacro e il profano, tra purezza e corruzione.
La sceneggiatura, firmata da Peter Straughan, ha un buon equilibrio narrativo. Da un lato, offre un’analisi acuta delle dinamiche di potere all’interno della Chiesa, dall’altro si immerge nei dilemmi personali dei personaggi. Il dialogo è incisivo, ricco di sottotesti che rivelano le motivazioni e i segreti dei protagonisti. Tuttavia, non è privo di difetti: alcune svolte narrative appaiono prevedibili, e in certi momenti il film si affida a cliché che rischiano di appiattire la complessità del racconto. Laddove la narrazione eccelle è nell’umanizzazione dei personaggi, che appaiono come individui complessi, pieni di contraddizioni, piuttosto che come semplici archetipi.
Una menzione speciale va alla performance di Isabella Rossellini nel ruolo di Suor Agnes. Sebbene il suo tempo sullo schermo sia limitato, Rossellini riesce a imprimere una forza straordinaria al suo personaggio, un’anima apparentemente serena ma che cela un’intelligenza acuta e una conoscenza profonda dei meccanismi del potere. La sua presenza aggiunge una dimensione ulteriore alla narrazione, suggerendo che anche le figure apparentemente secondarie possono avere un impatto significativo sugli eventi.
La colonna sonora accompagna con discrezione ma efficacia l’evolversi della trama. I temi musicali, mai invadenti, accentuano le tensioni senza appesantire la narrazione, riuscendo a creare un contrappunto emotivo che arricchisce l’esperienza visiva. Le note orchestrali si intrecciano con suoni ambientali, come il fruscio delle vesti e i sussurri nelle sale, per creare un’atmosfera immersiva che trasporta lo spettatore nel cuore del conclave.
Sul piano tematico, Conclave è un’opera abbastanza densa. Il film affronta con coraggio questioni universali come il conflitto tra fede e ambizione, il peso delle scelte morali e la natura corruttibile del potere. Uno dei messaggi (non di certo nuovi) è l’idea che la purezza spirituale possa essere contaminata dalle dinamiche terrene, un tema reso evidente attraverso i numerosi momenti in cui i personaggi devono scegliere tra il bene superiore e i propri interessi personali.
Il film esplora anche il concetto di verità, sia in senso spirituale che politico. In un’istituzione come la Chiesa, dove la trasparenza è spesso sacrificata in nome della stabilità, la ricerca della verità diventa un atto rivoluzionario. Questo tema è incarnato dal personaggio di Fiennes, che si trova a dover fare i conti con segreti che minacciano di distruggere non solo il conclave, ma la sua stessa fede.
Detto ciò, Conclave non è privo di limiti. Il film, pur avendo l’ambizione di offrire uno sguardo penetrante sui meccanismi di potere e fede, a tratti si accontenta di soluzioni narrative un po’ convenzionali. Le tematiche affrontate, sebbene di grande rilevanza, non sempre vengono esplorate con la profondità che meriterebbero, lasciando allo spettatore la sensazione che alcune questioni siano state volutamente edulcorate per non compromettere il ritmo della narrazione.
Ciononostante, il film riesce a mantenere un equilibrio tra intrattenimento e riflessione. Non è un semplice thriller politico, ma un’opera che invita lo spettatore a interrogarsi su temi universali: il peso delle scelte morali, l’ambiguità del potere, e la fragilità della fede di fronte alle tentazioni terrene. Berger dimostra una grande capacità di bilanciare l’introspezione psicologica con la spettacolarità visiva, rendendo Conclave un’opera che colpisce sia la mente che il cuore.
Pur non rivoluzionando il genere, Conclave si distingue per la sua eleganza formale e per le interpretazioni di altissimo livello (inclusi, oltre ai succitati, l’ottimo John Lithgow e l’esordiente Carlos Diehz). Edward Berger dimostra ancora una volta la sua abilità nel dirigere storie complesse, riuscendo a creare un’opera che, nonostante i suoi limiti, lascia il segno. Un’esperienza cinematografica che, seppur imperfetta, merita di essere vissuta per la sua capacità di coniugare introspezione e spettacolarità in un equilibrio delicato e affascinante.