HomeCulturaAnteprima: Heretic, il potere della fede e del controllo

Anteprima: Heretic, il potere della fede e del controllo

Girare un horror e al contempo mettere su un piccolo saggio di game design. Non è un’interpretazione deliberata dettata da deformazione professionale, la mia. Né è il bellissimo monologo di Hugh Grant che a un certo punto accosta l’evoluzione delle religioni a quella del Monopoly a fornirmi quest’analogia.
L’ambiguo Mr. Reed non ha qui nulla da invidiare ai migliori game designer, quelli che nel mettere su un universo (video)ludico uniscono challenge e messaggio. Le giocatrici di questa storia non sembrano divertirsi molto, ma chi abbia giocato a That Dragon, Cancer sa che i prodotti ludici sono usciti da tempo dalla gabbia di chi li voleva soltanto gioiosi e divertenti.

Ma andiamo con ordine.

Heretic è un film horror psicologico che esplora in profondità i temi di fede e uso della religione attraverso una narrazione intensa e provocatoria. La trama segue due giovani missionarie mormoni, interpretate da Sophie Thatcher e Chloe East, che hanno la ventura di bussare alla porta del sopraccitato Mr. Reed, uno straordinario Hugh Grant che darà vita a una sequenza di situazioni inquietanti, che si inanellano a spirale verso sull’oscuro abisso del dubbio.

Mr. Reed incarna una visione scettica che vede la religione come un sistema costruito per spiegare l’ignoto e mantenere l’ordine sociale, tema esplorato in altra epoca da Michel Foucault, che in Sorvegliare e punire collegava il sapere religioso al potere disciplinare. Reed sfida le missionarie a confrontarsi con le contraddizioni e le complessità dei loro sistemi di credenze, mettendo in discussione la validità e l’origine delle religioni organizzate. La dialettica teologica, fideistica e sociale costituisce qui il fulcro della tensione narrativa.

Hugh Grant è straordinariamente magnetico, mischia la tipica gentilezza British con un’attitudine ambigua che rende il suo perpetuo sorriso sempre più sinistro e disturbante. Dà vita a un personaggio duale che regge da sé per ritmo e contenuti l’intero film.

Se da un lato abbiamo Mr. Reed intento a costruire un sapiente game design (non è un caso che nel suo studio tenga una riproduzione in scala della propria casa, come fosse un diorama funzionale allo studio delle dinamiche possibili all’interno del livello) che concede alle “giocatrici” una scelta apparente, conducendole invece nella direzione che lui stesso ha previsto e tracciato, dall’altro le due missionarie – Sister Barnes e Sister Paxton – incarnano altrettanti approcci distinti alla fede e alla missione religiosa, offrendo una rappresentazione sfumata delle dinamiche interne al proselitismo mormone e facendosi simbolo di due differenti forme di rapporto con la fede.

Sister Barnes è una convertita recente al mormonismo, caratterizzata da una fede fervente e una strenua volontà di mettere in discussione e sfidare le opinioni contrarie al suo credo, riflettendo una personalità assertiva e critica.
Sister Paxton è invece nata e cresciuta all’interno della comunità mormone, incarnando quindi una fede più tradizionale e meno incline al confronto. La sua natura dolce e la mancanza di esperienza nel mondo esterno la rendono inizialmente più vulnerabile alle manipolazioni di Mr. Reed.

Mentre Barnes rappresenta l’ardore della neofita, pronta a difendere con vigore le proprie convinzioni, Paxton incarna la tradizione e la continuità nella sua maniera apparentemente più remissiva, ma anche più profonda.
Sono personaggi che – pur stando dalla stessa parte – sono a tratti antipodali, e la loro dialettica interna rende più interessante la storia narrata.

La regia di Scott Beck e Bryan Woods è visivamente sofisticata, mettono attenzione alla comunicazione facciale degli attori e alle sequenze simboliche, sostenuta da una fotografia che esalta il senso di isolamento e minaccia costante, e che ben accompagna il setting della narrazione.
Leggo che c’è chi ha trovato il film verboso, ma non condivido: Beck e Woods avevano già chiaro in mente che tipo di film mettere in scena, e da maestri (loro le sceneggiature di A Quiet Place e The Boogeyman, per citarne due) imbastiscono una narrazione che flirta con le convenzioni del genere senza mai abbracciarle completamente, ma mantenendo un costante senso di profonda inquietudine durante tutta la pellicola.

Il risultato finale è un’esperienza solida e ambiziosa, che tiene bene il ritmo narrativo nonostante la densità di contenuto, l’horror è qui setting e mezzo per mettere al centro riflessioni sulla religione come instrumentum regni e mezzo di controllo e genuina professione di fede.

Heretic non si limita a essere un horror psicologico: è un viaggio nelle profondità della fede, delle credenze e del significato esistenziale. È un film che affronta grandi questioni senza offrire risposte definitive, preferendo esplorare la complessità della religione e della spiritualità in un mondo contemporaneo pieno di dubbi e contraddizioni.

Gero Miccichè
Gero Miccichèhttps://livellosegreto.it/web/@Eragal
Development Director di Electronic Arts, dove ha lavorato su GRID Legends, Need for Speed e adesso Battlefield. Vanta una lunga esperienza nella produzione in ambito televisivo, editoriale e audiovisivo, ricoprendo anche il ruolo di General Manager e Direttore Editoriale dell’emittente Teleacras. Per Gameloft ha prodotto Dragon Mania Legends e Disney Getaway Blast, anche qui partecipando attivamente alla produzione narrativa. Tra i fondatori del magazine letterario El Aleph, ha pubblicato racconti su diverse riviste e dal 2011 al 2017 è stato Direttore Artistico della rassegna letteraria televisiva ContemporaneA, dedicata alle nuove voci della letteratura italiana. Ha scritto e condotto svariate trasmissioni TV, fra cui la rubrica "Libri da ardere" e lo show videoludico GameCompass, del quale è stato direttore della testata giornalistica online. Giurato dei prestigiosi BAFTA Awards, è docente di Produzione e sviluppo di videogiochi presso la Digital Bros. Game Academy. Nel 2011, è stato insignito del premio Ignazio Buttitta e del premio Telamone per l'attività culturale, e nel 2022 ha vinto il DStars Awards, categoria “Far Star”, "per il suo contributo straordinario nello sviluppo da italiano in uno stato estero”. È fra i 100 sviluppatori italiani più importanti secondo la classifica di StartupItalia.
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