Condividendo quanto proposto dal procuratore generale di Palermo, Lia Sava, e dal sostituto Carlo Marzella, imposto il divieto di dimora in Sicilia a 9 presunti fedelissimi di Matteo Messina Denaro.
Lo scorso 14 ottobre è stata emessa la seconda sentenza d’Appello nell’ambito dell’inchiesta antimafia nel Trapanese intitolata “Anno Zero”, tra i mandamenti di Castelvetrano e di Mazara del Vallo, e i clan di Campobello di Mazara e Partanna. La Corte d’Appello di Palermo, presieduta da Sergio Gulotta, investita per la seconda volta dal giudizio dopo l’annullamento con rinvio da parte della Cassazione che non ha condiviso la contestazione di alcune aggravanti, ha inflitto 10 anni di reclusione a Nicola Accardo e 8 anni ad Antonino Triolo, entrambi di Partanna, poi 8 anni a Giuseppe Tilotta, e 1 anno e 10 mesi a Bartolomeo Tilotta, entrambi di Castelvetrano. E poi a Campobello di Mazara sono stati condannati Giuseppe Paolo Bongiorno e Angelo Greco a 6 anni ciascuno, Calogero Guarino, 8 anni, Vincenzo La Cascia, 9 anni e 8 mesi, Raffaele Urso, 11 anni e 2 mesi, Andrea Valenti, 7 anni e 6 mesi, e Filippo Dell’Aquila, 8 anni e 8 mesi. Per tutti è stato emesso l’ordine di scarcerazione per scadenza dei termini di fase, ovvero il termine massimo entro cui sarebbe stato da concludere il giudizio d’appello. Ebbene, a fronte della scarcerazione, che ha sollevato particolare clamore mediatico nonostante sia corretta secondo il codice di procedura penale, la stessa Corte d’Appello ha imposto il divieto di dimora in Sicilia ai condannati, tranne che ad Angelo Greco, che ha già scontato interamente la pena. Nel provvedimento, che costringe gli imputati a recarsi altrove fuori Sicilia, si legge il perché della misura preventiva: “Perché non risulta acquisito alcun elemento tale da far ipotizzare nei confronti degli imputati una loro presa di distanza rispetto alla compagine associativa criminale di appartenenza, ovvero una cessazione dei rapporti con essa e del sottostante senso di appartenenza, sicché va ribadita la persistenza delle esigenze cautelari, che legittima peraltro l’applicazione di misure restrittive non detentive anche con provvedimento successivo e distinto rispetto a quello di remissione in libertà per decorrenza di termini”.