A Castelvetrano non si proietta il film “Iddu”, su Matteo Messina Denaro. A San Giuseppe Jato si presenta il libro “Uno così, Giovanni Brusca si racconta”.
A Castelvetrano, città natale di Matteo Messina Denaro, non si proietta il film “Iddu”, su Matteo Messina Denaro. A San Giuseppe Jato, città natale di Giovanni Brusca, si presenta il libro “Uno così, Giovanni Brusca si racconta”, di don Marcello Cozzi, edito da San Paolo. Non intendo affatto stigmatizzare una presunta contraddizione tra le due iniziative ma soltanto rappresentare, in termini di cronaca e non di opinione, due eventi che riguardano due dei boss di maggior rilievo della storia di Cosa Nostra in Sicilia, e che coincidono casualmente nelle stesse circostanze di tempo e di luogo. Dunque: a Castelvetrano (e non solo perché anche ad Isola delle Femmine non sarà proiettato) il titolare del cinema “Marconi” che si è opposto alla proiezione del film sul boss defunto è Salvatore Vaccarino, figlio dell’ex sindaco della città, Antonino Vaccarino, colui che, pilotato dai Servizi segreti impegnati nella cattura, avviò un rapporto epistolare con Matteo Messina Denaro. Salvatore Vaccarino spiega: “Matteo Messina Denaro dovrebbe cadere nell’oblio più profondo. Quando uscirà ‘Iddu’, nel mio cinema sarà proiettato il docufilm ‘Falcone e Borsellino: il fuoco della memoria’, affinché possano essere esaltati e ammirati i veri eroi del nostro tempo che devono essere fonte di ispirazione per tutti e soprattutto per le nuove generazioni. Non sopporto che si inneggi ad un delinquente con il rischio che si alimenti un mito, quasi un modello da seguire”. A San Giuseppe Jato sarà presentato il libro in cui l’autore, don Marcello Cozzi, dialoga con Giovanni Brusca. Il sindaco, Giuseppe Siviglia, spiega: “Don Marcello Cozzi ha chiesto la mia opinione: secondo me si pone un problema di moralità, e per questo è necessario presentarlo nel Comune dove ha vissuto l’uomo che il 23 maggio 1992 uccise Falcone, la moglie e la scorta. Ritengo che sia giusto presentarlo da noi per scuotere le coscienze della cosiddetta zona grigia, affinché anche queste persone passino dalla parte della legalità e collaborino con le istituzioni. Bisogna educare le nuove generazioni alla legalità, e mi auguro che presentando il libro anche a San Giuseppe Jato possa cambiare qualcosa”. Giovanni Brusca, quando il 19 settembre è stato pubblicato il libro, ha commentato: “Mi sono chiesto tante volte cosa significa chiedere perdono per la morte del piccolo Di Matteo. Non lo so. Mi accusano spesso di non mostrare esternamente il mio pentimento, ma io so che per un omicidio come questo non c’è perdono”. Poi Brusca, libero dal maggio del 2021 dopo avere scontato 25 anni di carcere, aggiunge: “Fin da bambino ho convissuto con le forze di polizia, a causa delle frequenti perquisizioni che venivano a farci in casa. E così è stato inevitabile farmi di loro un’idea pessima. I miei genitori, infatti, me li facevano vedere come fastidiosi e cattivi, come se tutti i guai giudiziari di mio padre fossero colpa loro. Se avessi avuto una scuola attenta, se quelli del Comune fossero venuti a cercarmi quando in quinta elementare mio padre mi ritirò dalla scuola per mandarmi dietro alle pecore, forse la mia vita non sarebbe andata come è andata, e forse io non avrei pensato che era quello l’unico modo di vivere. Quando finalmente ho preso coscienza del male che ho fatto, allora per me è stato come entrare in un incubo senza fine”. Don Cozzi è un sacerdote lucano, impegnato da decenni contro il disagio sociale, per l’educazione alla legalità e nel contrasto alle mafie, anche con l’accompagnamento ai pentiti di mafia e ai testimoni di giustizia. E a proposito di Brusca riflette: “Mi porto la ferma convinzione che ‘uno così’ resta una persona, nonostante tutto il male commesso, la morte procurata, il dolore profuso, perché non intendo rassegnarmi all’idea che in fondo la prima vittima di un carnefice è lui stesso”.