Dopo anni si conclude un’annosa vicenda che ha visto coinvolta una dipendente di un’azienda leader nel settore della vigilanza e sicurezza, a cui illegittimamente, come si legge dalla sentenza del CGARS è stato revocato il porto d’armi.
All’indomani del provvedimento prima di sospensione e poi di revoca, l’azienda, sempre molto vicina ai suoi lavoratori, ha dovuto, infatti, adibire la dipendente ad un’altra mansione con una retribuzione nettamente inferiore rispetto alla precedente, in mancanza del “porto d’armi” illegittimamente revocato, con un forte pregiudizio per la guardia particolare giurata.
La ricorrente, ha dovuto infatti attendere ben 5 anni, e due giudizi prima al TAR Sicilia-Palermo e poi al CGARS, prima di vedere riconosciuta l’illegittimità del provvedimento della Prefettura, che in assenza di motivazione e istruttoria ha disposto la revoca del porto d’armi per la guardia particolare giurata.
L’appellante che oggi svolge, in assenza del porto d’armi, un altro lavoro, assistita dagli Avvocati Michele Cimino e Giorgio Troja, ha infatti visto riconosciuta l’illegittimità del provvedimento di revoca del porto d’armi. Il CGARS censurando la “discrezionalità” della Prefettura nell’adottare il provvedimento di revoca, riconosciuta inspiegabilmente in primo grado dal TAR, ha condiviso le tesi dello Studio Legale Cimino & Partners, rilevando come il provvedimento fosse stato adottato in assenza d’istruttoria e di conseguenza in carenza di motivazione, criticità avvalorata da una contraddittorietà estrinseca degli atti procedimentali.
Il provvedimento revocatorio della Prefettura oggetto dell’impugnazione, come rileva il CGARS: “offre una motivazione che consta nella presa in considerazione di un unico evento, senza che risulti dimostrata, in chiave prognostica, la perdurante attualità dei profili sintomatici di inaffidabilità che dovrebbero desumersi dal citato episodio”. Quest’ultimo e unico evento, inoltre per la stessa Prefettura “non idoneo a giustificare la revoca della licenza di porto d’armi a tassa ridotta, disponendone la sola sospensione” veniva seguito, in assenza di alcuna istruttoria, da un provvedimento di revoca, oggi più che mai illegittimo.
L’Avv. Michele Cimino, infine, seppur molto soddisfatto per la vittoria che ha visto anche la condanna alle spese per il Ministero dell’Interno, ha rilevato con rammarico, come: “la discrezionalità di cui gode la PA nella materia della licenza del “porto d’armi” rischia di essere un boomerangs per la stessa, se non esercitata secondo il principio di ragionevolezza e con un’analisi specifica del singolo caso. Purtroppo, spesso, la discrezionalità si traduce di default, in una sequela di provvedimenti di revoca, che generano contenziosi evitabili sul nascere da una più attenta valutazione della fattispecie”.