Emergono dettagli più ampi nell’ambito dell’indagine a carico dell’ex magistrato palermitano Gioacchino Natoli compresa nell’inchiesta sulla strage di Via D’Amelio.
Emergono dettagli più ampi nell’ambito dell’indagine a carico dell’ex magistrato palermitano, già componente del pool antimafia di Palermo con Falcone e Borsellino, Gioacchino Natoli, indagato nell’ambito dell’inchiesta sulla strage di Via D’Amelio contro il giudice Paolo Borsellino, e appena destinatario di un invito a comparire innanzi alla Procura di Caltanissetta per essere interrogato. In estrema sintesi Natoli, che è stato anche presidente della Corte d’Appello di Palermo, avrebbe contribuito ad insabbiare il rapporto dei Carabinieri del Ros su “Mafia e appalti”, ritenuto da alcuni il movente della strage. E ciò per favorire mafiosi, imprenditori e politici. Ebbene, ecco i dettagli più ampi: Gioacchino Natoli, insabbiando ed eludendo le indagini, avrebbe favorito i mafiosi Antonino Buscemi e Francesco Bonura, l’imprenditore e politico Ernesto Di Fresco, e gli imprenditori Raoul Gardini, Lorenzo Panzavolta e Giovanni Bini, ovvero gli ultimi tre al vertice del Gruppo Ferruzzi. Sul rapporto “Mafia e appalti”, Natoli, in concorso con il procuratore di Palermo dell’epoca, Pietro Giammanco, nel frattempo deceduto e indicato nell’invito a comparire quale “istigatore”, avrebbe avviato – si legge tra le contestazioni di reato – una “indagine apparente”, “richiedendo, tra l’altro, l’autorizzazione a disporre attività di intercettazione telefonica per un brevissimo lasso temporale (inferiore ai 40 giorni per la quasi totalità dei target) e solo per una parte delle utenze da sottoporre necessariamente a captazione per assicurare un sufficiente livello di efficienza delle indagini”. E poi si legge ancora: “Gioacchino Natoli, d’intesa con l’allora capitano della Guardia di Finanza, Stefano Screpanti, si sarebbe adoperato affinchè non fossero trascritte conversazioni intercettate particolarmente rilevanti, da considerarsi vere e proprie autonome notizie di reato, dalle quali emergeva la resa a disposizione di Ernesto Di Fresco a favore di Francesco Bonura, nonché una concreta ipotesi di ‘aggiustamento’, mediante interessamento del Di Fresco stesso, del processo pendente innanzi alla Corte d’Assise di Appello di Palermo a carico di Bonura per un duplice omicidio”. E poi Gioacchino Natoli non avrebbe iniziato alcuna indagine nei confronti degli imprenditori Luciano Laghi e Claudio Scarafia, “sebbene – si legge ancora – i due fossero risultati a completa disposizione di Bonura e dei suoi familiari. E avrebbe proposto l’archiviazione del procedimento senza curarsi di effettuare ulteriori approfondimenti”. Infine, secondo la Procura nissena, “per occultare ogni traccia del rilevante esito delle intercettazioni telefoniche, Natoli avrebbe disposto la smagnetizzazione delle bobine e la distruzione dei brogliacci”. I magistrati nisseni si riferiscono a 190 bobine trascurate per decenni e ripescate dai magistrati di Caltanissetta nei sotterranei del Palazzo di giustizia di Palermo. Contengono ore di intercettazioni e si intrecciano con il dossier “Mafia e appalti” a cui lavorarono Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. I reati sarebbero stati commessi con l’aggravante di avere agito al fine di favorire l’associazione mafiosa e i suoi interessi nel settore dell’aggiudicazione degli appalti, coltivati a fianco di imprenditori e politici.