Una studentessa calabrese, nell’ambito di un progetto educativo alla legalità, ricorda la storia di Ignazio Panepinto, l’imprenditore di Bivona vittima della mafia insieme al fratello.
E’ una delle vittime della mafia poco alla ribalta mediatica e delle commemorazioni, un imprenditore onesto, che ha pagato con la vita il prezzo dell’onestà nell’entroterra agrigentino, a Bivona. Si tratta di Ignazio Panepinto, ucciso il 30 maggio del 1994. Lui ha lavorato nel settore dell’edilizia, terreno da sempre fertile per coltivare interessi e affari mafiosi. Lui gestiva una cava per il materiale da costruzione, impermeabile ai condizionamenti criminali, e per ciò fu assassinato, perché non rinnegò i suoi principi morali. Pochi mesi dopo la sua morte, il 19 settembre del ‘94, furono assassinati anche suo fratello Calogero, per lo stesso movente, e l’operaio Francesco Maniscalco. Adesso una studentessa di Crotone del Liceo scientifico “Filolao”, Carla Le Rose, ne ha ricordato la storia, a monito e ad esempio, nell’ambito del progetto “#inostristudentiraccontanoimartiridellalegalità”. E tra l’altro ha scritto: “Bivona è stata una città segnata dai crimini mafiosi, ma, certamente, uno dei più efferati è stato quello di Ignazio Panepinto, il quale gestiva un impianto per la produzione di pietre frantumate. Era molto amato dalla gente nel paesino dove viveva oltre ad essere apprezzato per la sua bravura, ma il suo mestiere non era gradito alla mafia, così il 30 maggio 1994 tre colpi di lupara, il primo alle spalle e gli altri due alla testa, uccisero Ignazio tra le pietre della sua cava. Per Ignazio il suo lavoro, la sua proprietà era tutto ciò che aveva, l’avrebbe difeso anche a costo di morire. Molte ipotesi lasciarono intendere che Ignazio avesse qualche legame con gli assassini. Si pensò fosse coinvolto in affari legati alla gestione di materiali esplosivi, ma la verità che emerse fu scioccante: Panepinto si spinse oltre le leggi e le regole delle cosche, aprendo la sua cava nonostante le intimidazioni e le minacce. Dopo la sua morte, i familiari e alcuni abitanti del paese furono colpiti dalla mafia: il 19 settembre dello stesso anno, il fratello Calogero e un operaio Francesco Maniscalco furono vittime di questa vendetta. La storia della Sicilia è stata nel tempo caratterizzata dalle lotte fra i clan mafiosi, il cui unico obiettivo era il controllo del territorio. Queste faide durarono per lungo tempo e negli anni ’90 il fenomeno si acutizzò arrivando a terribili violenze, che coinvolsero le vite degli abitanti di molte città. Bisogna ricordare ogni singola vittima della criminalità organizzata affinché si comprenda che la legalità è il bene comune del nostro Paese per la quale molti, anche silenziosamente, hanno combattuto, donando la loro vita”. A commento del lavoro della studentessa calabrese interviene il Coordinamento nazionale docenti della disciplina dei diritti umani, promotore del progetto
“#inostristudentiraccontanoimartiridellalegalità”, che afferma: “Gli studenti sono sempre più protagonisti della costruzione di una memoria viva e attiva riferita ai valori della legalità. Il progetto intende diffondere tra le giovani generazioni volti, storie, episodi veramente straordinari per la loro valenza educativa. La storia di Ignazio, come tutte le altre, ci ricorda che, nonostante le nostre differenze, dobbiamo lavorare insieme per contrastare l’illegalità e diffondere i diritti civili nella nostra realtà. Maturare il senso critico e chiedersi il perché delle cose diventano fondamentali per l’acquisizione di maturità, consapevolezza e senso civico”.