Michele Santoro racconta il suo aggancio con Matteo Messina Denaro in carcere per scrivere un libro su di lui: “Il boss era d’accordo, ma non ho mai ricevuto risposta dalle istituzioni. Perchè?”.
Matteo Messina Denaro è stato d’accordo nell’incontrare Michele Santoro perchè il giornalista avrebbe avuto intenzione di scrivere un libro su di lui. Santoro si è rivolto alle istituzioni preposte per entrare nel carcere al cospetto del boss, ma senza riscontro. Lui, Santoro, per agganciare Messina Denaro ha contattato sua nipote e suo avvocato, Lorenza Guttadauro. E Michele Santoro svela il perchè del libro, e spiega: “Matteo Messina Denaro è sempre stata una chiave per comprendere cosa era successo dalle stragi di mafia del 1992 in poi a Cosa Nostra. Di questa organizzazione che ha segnato la storia del nostro Paese oggi sappiamo poco o niente. Raccolgo da tempo il maggior numero di informazioni possibili su questo. Capire come si era svolta la latitanza dell’ultimo padrino era essenziale. Il suo arresto mi ha lasciato perplesso, perché Matteo Messina Denaro aveva come scopo primario della sua esistenza quello di non farsi catturare. Non esisteva una sua foto o una intercettazione o la notizia certa di un incontro: e all’improvviso si mette a fare i selfie con gli operatori della clinica ‘La Maddalena’? Non credo affatto che abbia vissuto gli anni di latitanza solo in Sicilia, ma morire da solo a Dubai o in Tunisia sarebbe stato insopportabile anche per lui. Invece qui poteva finalmente vedere per la prima volta la figlia e incontrare i membri della sua famiglia. Quando la malattia è avanzata ha abbassato le difese. Non si è consegnato perché uno come lui non tratta con le istituzioni, ma sapeva che prima o poi lo avrebbero preso”. Poi Michele Santoro rivela un episodio inedito: “Quando la mattina del 16 gennaio, il giorno dell’arresto, stava andando in clinica a Palermo, si è accorto che la sua automobile è stata sorpassata da un furgone ‘sospetto’ che trasportava chi l’avrebbe catturato. Per un attimo il suo riflesso è stato quello di invertire la direzione e scappare. Poi invece ha deciso di proseguire. E’ un dettaglio che mi è stato riferito ma che è stato lui a raccontare”. E poi l’ex conduttore di pietre miliari dei talk show impegnati, come “Samarcanda”, aggiunge: “L’arresto di Matteo Messina Denaro è stato una resa condizionata dalla malattia. L’operazione dei Carabinieri è stata limpida, ma facile, e non ha portato a nessuna scoperta importante. Forse perché dopo una caccia di 30 anni un po’ di fortuna ci vuole. D’altro canto è sempre stato diverso dai capimafia che l’hanno preceduto. Laico, informato, aveva le sue opinioni su tutto. Per questo sarebbe stato molto interessante poterlo incontrare. Io non mi sento un cronista giudiziario o un ‘mafiologo’ come altri. Io mi avvicino con un occhio particolare al Male. Senza moralismi o condanne preventive”. E poi, ancora in riferimento al suo aggancio con Messina Denaro, Michele Santoro racconta: “Ho scritto a sua nipote, l’avvocato Lorenza Guttadauro. Dopo qualche settimana mi è arrivata una risposta. Era positiva. L’avvocata diceva che lui sarebbe stato molto contento di incontrarmi e mi ha chiesto ragguagli. Io gli ho descritto meglio che tipo di libro avrei voluto scrivere e che tipo di interessi avevo su di lui. Gli ho spiegato che dal mio punto di vista si trattava di un confronto drammatico come quello che ho avuto con Maurizio Avola. Non ero un giudice e non volevo emettere condanne ma capire. Altrimenti lo avrei messo solo sulla difensiva senza che mi dicesse nulla di interessante. La risposta è stata ancora più incoraggiante. Mi ha mandato a dire che era pronto ad incontrarmi e che sarebbe stato felice di collaborare per questo libro. Ho contattato quindi il capo del Dap (il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria), Giovanni Russo, precisando che non si trattava di un articolo ma di un lavoro particolare che avrebbe richiesto tempi lunghi e che probabilmente sarebbe stato un libro postumo, ovvero pubblicato dopo la morte del boss. Avrebbero anche potuto registrare i colloqui per utilizzarli per le investigazioni, ovviamente. Potevano fare quello che ritenevano più opportuno, anche visionare il lavoro prima della pubblicazione per vedere se c’erano elementi di pericolo per la collettività. Russo mi ha consigliato di scrivere una richiesta formale indirizzata a lui, all’Antimafia e alla Procura di Palermo. Ho indirizzato la richiesta alle istituzioni competenti, senza ricevere mai una risposta. Tramite l’avvocato ho poi saputo che avevano valutato di respingere la mia richiesta perché le regole del 41 bis impedivano di fare qualsiasi cosa. Non è vero. In altre occasioni il permesso è stato accordato. E lui in nessun modo avrebbe mai collaborato con le istituzioni. Con un giornalista sarebbe stato diverso, perché non sarebbe stata una rinuncia al suo ruolo di capo, non avrebbe avuto il senso di una confessione. Sarebbe stato anche un modo per lui di esprimersi in libertà. E mi chiedo: perché faceva paura un Matteo Messina Denaro che consegna dichiarazioni o memorie? Anche se le opportunità per parlare negli interrogatori le ha avute: ma non voleva collaborare. Magari invece un giornalista come me, che garantisce assoluta indipendenza dalle Procure, lo avrebbe spinto a dire qualcosa di clamoroso”.