Dopo i figli di Paolo Borsellino, ascoltato in Commissione nazionale antimafia il fratello del giudice, Salvatore. Confermate le tesi opposte in famiglia su depistaggio e responsabilità.
Ormai da tempo i rapporti tra Salvatore Borsellino, fratello di Paolo, e i nipoti, ovvero i figli di Paolo, Fiammetta, Manfredi e Lucia, si sono incrinati e deteriorati. E ciò in riferimento a diverse ipotesi e tesi sul depistaggio delle indagini dopo la strage di via D’Amelio, che è una verità storica ma non ancora una verità processuale del tutto compiuta. In particolare, nel corso delle recenti audizioni innanzi alla Commissione nazionale antimafia, i figli di Paolo hanno ribadito le loro riserve e critiche verso l’operato dei magistrati Antonino Di Matteo e Roberto Scarpinato. E adesso lo zio, Salvatore Borsellino, ascoltato anche lui in Commissione, ha ritenuto opportuno assurgere ancora a difesa di Di Matteo e Scarpinato. E così si è rivolto ai commissari replicando alle precedenti dichiarazioni dei nipoti: “Devo dire da parte mia che ho ascoltato con sconcerto le dichiarazioni fatte in questa sede nei confronti di due magistrati, o meglio di un magistrato e di un ex magistrato, oggi senatore della Repubblica. Mi riferisco a Nino Di Matteo e Roberto Scarpinato, ai quali mi sento invece di dovere la mia stima e la mia gratitudine per avere in questi lunghi anni ricercato con tutte le loro forze quella verità e quella giustizia per le quali continuo a combattere in nome di quell’agenda rossa che ho scelto a simbolo della mia lotta. Sono ben altri i magistrati verso i quali bisognerebbe puntare il dito: per esempio il procuratore Giovanni Tinebra, che avrebbe dovuto essere chiamato a rispondere di aver avallato un evidente depistaggio nel corso di ben due processi, e quel procuratore Pietro Giammanco che ha ostacolato in ogni modo Paolo Borsellino, così come prima Giovanni Falcone, fino a concedergli la delega per indagare sui fatti di mafia a Palermo soltanto quando la macchina carica di esplosivo, che avrebbe dovuto ucciderlo, era già pronta davanti al portone di Via D’Amelio”. Altre divergenze tra Salvatore Borsellino e i figli di Paolo ruotano intorno all’agenda rossa, su cui insiste Salvatore, e sul dossier “mafia e appalti”, che sarebbe cruciale secondo i figli di Paolo. E dunque in Commissione Salvatore Borsellino ha ribadito che la prima sorgente del fiume del depistaggio è stata la sparizione dell’agenda rossa di suo fratello. E ha aggiunto: “L’agenda rossa è la scatola nera della strage di via D’Amelio. Le indagini devono ricominciare dal furto di quell’agenda, compiuto, ne sono certo, proprio da quelle stesse mani che hanno voluto la morte di mio fratello. Non sto parlando della mafia, ma di pezzi deviati dello Stato. Perché è certo che non siano state mani di mafiosi a portare a compimento quel furto. E proprio da questo che si dovrebbe ripartire, e non da un dossier ‘mafia e appalti’ che, se può essere considerato una concausa, non è sicuramente la vera causa dell’improvvisa accelerazione di una strage che a quel punto non poteva essere più rimandata. Occorreva eliminare e in fretta chi rappresentava un ostacolo insormontabile per un disegno criminoso, teso con l’ausilio anche dell’organizzazione mafiosa e dell’eversione nera a cambiare gli equilibri di questo nostro disgraziato Paese, che da queste stragi, che io ho chiamato e continuerò sempre a chiamare stragi di Stato, è stato sempre segnato. Ma – ha concluso Salvatore Borsellino – sulla sparizione di quell’agenda rossa non si è mai veramente indagato. Non c’è stato mai un vero processo, tranne quello in cui, in fase addirittura di udienza preliminare e quindi senza alcun dibattimento, è stato assolto dall’accusa di avere sottratto l’agenda quel capitano Arcangioli che è stato ripreso e fotografato mentre si è allontanato dall’automobile di Paolo ancora in fiamme, portando in mano la borsa di Paolo, in cui sicuramente l’agenda era contenuta”.