Riina, Bagarella, Graviano, Di Matteo, la strage di Firenze e Giovanni Falcone: altri inediti dai verbali degli interrogatori di Matteo Messina Denaro.
Emergono altri inediti dai verbali degli unici quattro interrogatori di Matteo Messina Denaro durante il breve periodo di detenzione e di vita, dal 16 gennaio al 25 settembre 2023. Ecco una carrellata di alcune risposte ad altrettante domande nel primo verbale, un mese dopo l’arresto, il 16 febbraio, quando Messina Denaro è innanzi al giudice Alfredo Montalto e ai pubblici ministeri Giovanni Antoci e Gianluca De Leo. “Totò Riina? “Non lo conosco”. Leoluca Bagarella? “Non lo conosco”. I fratelli Graviano? “Non conosco nessuno di questi”. “Ma lei è andato a Roma nel marzo del 1992 in missione per conto di Totò Riina per pedinare e uccidere Giovanni Falcone…” “Io a Roma ci andavo sempre, ci andavo spesso anche una volta a settimana, due volte a settimana, perché avevo anche una mia parte di vita lì… avevo pure una barca a Ostia che non è stata mai individuata, che poi io ho venduto dopo che mi è successo tutto questo, e quindi ci andavo anche per questo perché la barca non era intestata a me, io me ne andavo in auto e poi ritornavo in auto”. “Ma lei è andato anche ad ispezionare il Teatro Parioli, prima dell’attentato a Maurizio Costanzo…” “Non mi interessano queste cose. Non sono creduto ovviamente ma io dico la mia verità”. “Giovanni Brusca?” “Non conosco il signor Brusca, mi accusa di tante cose. Infatti ho sempre cercato un dialogo con qualcuno dello Stato, nel senso come stiamo facendo ora noi, non faccio cose segrete, per poter chiarire la mia posizione. Mi scusi, mi sono espresso male. Quando ho detto cercavo un qualcuno con cui io potevo discutere questo fatto, intendevo quando sarei stato catturato come poi è successo. Nel caso in cui io fossi stato catturato, speravo che mi dessero la possibilità di potere difendermi di questo fatto di questo bambino sciolto da me nell’acido. Brusca dice che ad un tratto, non so in quale data e non so in quale posto ha detto, ma non era Palermo, dice che si è incontrato lui, io, Graviano Giuseppe e Bagarella, e dice che abbiamo deciso del sequestro del piccolo Di Matteo con la finalità di fare ritrattare il padre. Allora la prima cosa che io mi pongo come domanda a me stesso: che cosa c’entro io di Castelvetrano di un’altra provincia a discutere delle cose di San Giuseppe Jato, questo non l’ho mai capito. Il bambino, da quello che dice, Brusca lo ha ucciso per vendetta, alla fine è stato un disonesto pure in questo… visto che non c’era più speranza che il padre ritrattasse… su un bambino, mascalzone che non sei altro. Capisco che se avesse trovato il padre, il Santo Di Matteo, lo uccideva, ma che c’entra sto bambino dato che lo scopo non poteva mai più accadere quello che lui si era prefissato… lui dice che in quell’occasione si decise il sequestro, io invece sono stato condannato per l’omicidio e ho preso l’ergastolo”. I magistrati: “Ma lei è stato condannato anche per la strage di Firenze del 1993, e tra le cinque vittime c’erano Nadia e Caterina Nencioni di 9 anni e 2 mesi”. E lui risponde: “Parlando di Firenze, a prescindere che io non so niente di Firenze, poi quello che dicono i collaboratori se la vedono loro, io non so niente anche perché riscontri oggettivi non ce ne sono. Firenze qualora fosse vero, ma sulla mia persona non è vero, non è che si volevano uccidere persone, anche perché ci sono collaboratori che dicono che la finalità non era uccidere delle persone. Solo che il problema è stato, secondo me, che sono andati con la ruspa. Cioè hanno ucciso la mosca con cannonate perché si sa che se si mettono bombe possono cadere degli innocenti. Ma la finalità di come dicono alcuni non era uccidere alle persone, era prendersela con i beni dello Stato. C’è da vedere a chi mandano a fare una cosa del genere, cioè che testa hanno, che intelligenza hanno, perché mettiamo caso che io andavo a Firenze a mettere questa bomba, giusto con le stesse finalità, non sarebbe morto nessuno perché io una bomba là non la mettevo perché ho una coscienza, mi spiego… non è stato un errore, è stato menefreghismo, che è peggio perché l’errore può essere perdonato”. Poi Messina Denaro si sofferma su Giovanni Falcone: “Il giudice Falcone ebbe l’intelligenza e anche il metodo di creare il teorema ‘Buscetta’ e lo seguiva, ad un tratto dopo tutto quello che è successo nell’arco degli anni il teorema ‘Buscetta’ lo dimenticarono come se non fosse mai esistito, ma lo fece Falcone e hanno mischiato, da noi si dice, le pietre con le uova, ma le pietre con le uova poi si rompono”. Poi i magistrati gli ricordano che suo padre lo affidò a Totò Riina come fosse un secondo padre. E Matteo Messina Denaro replica piccato: “Mio padre si chiamava Francesco Messina Denaro e ho avuto solo un padre, mi sarei schifato di lui se mi avesse assegnato a qualche altro. A me mi ha cresciuto mio padre e mia madre, ne sono orgoglioso. Altri padri non ne ho avuti”. Poi i magistrati gli ricordano che Totò Riina, intercettato in carcere, lo accusò di occuparsi solo dei soldi e degli affari suoi, come le pale eoliche. L’espressione di Riina: “I pali dell’eolico se li infili…”. E Messina Denaro ribatte: “Si deve tenere presente che il signor Riina diceva un sacco di cretinate (per colpa della demenza senile). Se Riina avesse conosciuto me avrebbe avuto rispetto di me perché io non sono stato mai una persona sguaiata, non ho mai avuto questi modi di linguaggio, solo che Riina secondo me non c’era più”.