Il generale dei Carabinieri del Ros, Mario Mori, in occasione dell’anniversario della strage di via D’Amelio, ricostruisce gli avvenimenti tra la morte di Falcone e di Borsellino.
Il generale dei Carabinieri del Ros, Mario Mori, appena assolto con sentenza definitiva in Cassazione al processo sulla presunta trattativa Stato – mafia all’epoca delle stragi, ha tracciato, in occasione del 31esimo anniversario della strage di Via D’Amelio, un calendario dettagliato sugli avvenimenti tra la morte di Falcone e la morte di Borsellino, cavalcando le indagini del Ros dei Carabinieri. Eccolo:
“19 giugno 1992: due ufficiali del Ros, i capitani Umberto Sinico e Giovanni Baudo, informano direttamente Borsellino di avere ricevuto notizie confidenziali sulla preparazione di un attentato contro di lui, precisando di avere già allertato gli organi istituzionali competenti per la sua sicurezza.
25 giugno 1992: Paolo Borsellino mi chiede un incontro riservato che si svolge a Palermo nella caserma Carini, in presenza anche del capitano De Donno. Borsellino, che già aveva ottenuto dal Ros il rapporto ‘mafia e appalti’ quando era a Marsala, annuncia di volere proseguire le indagini già coordinate da Giovanni Falcone, che gliene aveva parlato ripetutamente. E sollecita, ottenendola, la disponibilità operativa del capitano De Donno e degli altri militari che avevano condotto l’inchiesta.
12 luglio 1992: la Procura di Palermo, con lettera di trasmissione a firma del procuratore capo Giammanco, invia quasi per intero l’informativa Ros sugli appalti ad altri uffici giudiziari siciliani “per conoscenza e per le opportune determinazioni di competenza”. Per un’indagine basata sull’ipotesi di associazione per delinquere di tipo mafioso, tale procedura adottata dalla Procura di Palermo implica il sostanziale cessato interesse per gran parte dell’indagine, infliggendole un colpo praticamente mortale.
13 luglio 1992: i sostituti procuratori Guido Lo Forte e Roberto Scarpinato chiedono l’archiviazione dell’inchiesta ‘mafia e appalti’.
14 luglio 1992, in una riunione dei magistrati della Procura di Palermo, Paolo Borsellino chiede notizie sull’inchiesta ‘mafia e appalti’ e afferma che i Carabinieri sono delusi della sua gestione. Dalle successive dichiarazioni al Csm da parte dei presenti a quella riunione, emerge che nessuno dice a Borsellino che ne è già stata proposta l’archiviazione (Guido Lo Forte era tra i presenti).
16 luglio 1992, si tiene a Roma una cena tra Paolo Borsellino, l’onorevole e già ministro Carlo Vizzini, e i magistrati palermitani Guido Lo Forte e Gioacchino Natoli. Nel corso dell’incontro (e c’è la testimonianza processuale di Carlo Vizzini) Borsellino parla diffusamente dell’indagine ‘mafia e appalti’ individuandola come una delle possibili cause della morte di Giovanni Falcone. Guido Lo Forte non informa il collega che due giorni prima, insieme a Roberto Scarpinato, ne aveva chiesto l’archiviazione. Vale la pena altresì ricordare, come risulta dalle plurime testimonianze dei suoi colleghi, tra cui Vittorio Aliquò, Leonardo Guarnotta, e Alberto Di Pisa, che Borsellino ritenesse come l’interesse mostrato dall’amico Giovanni Falcone per l’indagine fosse una delle possibili cause della sua morte.
19 luglio 1992, giorno della strage: al primo mattino Borsellino riceve una telefonata dal procuratore Giammanco che gli conferisce la delega ad occuparsi delle indagini relative alla città di Palermo e alla sua provincia. Nel pomeriggio il magistrato è ucciso.
22 luglio 1992, tre giorni dopo la morte di Paolo Borsellino, il procuratore Giammanco chiede al Tribunale l’archiviazione dell’indagine su ‘mafia e appalti’.
14 agosto 1992, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Palermo, Sergio La Commare, firma l’archiviazione dell’inchiesta. La decisione passa inosservata nella completa distrazione propria del periodo ferragostano”.