Nell’approssimarsi dell’anniversario della strage di via D’Amelio la rievocazione dei giorni precedenti tramite una testimonianza d’archivio di Liliana Ferraro.
Il 28 giugno del ’92, al rientro da Bari, a Roma, all’aeroporto, nella saletta vip di “Fiumicino”, Paolo Borsellino, con la moglie Agnese, incontra il nuovo direttore degli Affari penali, Liliana Ferraro, subentrata a Giovanni Falcone al Ministero della Giustizia. Liliana Ferraro racconta a Borsellino dell’incontro con il capitano dei Carabinieri, De Donno, dei contatti di Vito Ciancimino con i Carabinieri e delle richieste di “coperture” da parte di Ciancimino per proseguire la collaborazione. Liliana Ferraro, in audizione d’archivio in Commissione antimafia, ricorda: “Borsellino mi disse che era solo, ma la moglie Agnese, udendo tale frase, si inserì nel discorso chiedendomi più volte di convincere il marito a non andare avanti, perché non voleva che i suoi figli rimanessero orfani. Riferii poi a Borsellino la visita di De Donno.
Lui non ebbe nessuna reazione, mostrandosi per nulla sorpreso, e quasi indifferente alla notizia, dicendomi comunque che se ne sarebbe occupato lui”. Poi, la Ferraro ricorda ancora: “Ad un tratto, nella saletta vip dell’aeroporto, arriva anche il nuovo ministro della Difesa, Salvo Andò, socialista, che saluta Borsellino, gli si avvicina e gli dice che deve parlargli. Borsellino si allontana e si apparta con Andò che gli riferisce preoccupato dell’informativa dei Carabinieri del Ros, spedita nei giorni precedenti alla Procura di Palermo, che li indica entrambi come possibili bersagli di un attentato mafioso.
Un terzo obiettivo indicato dal Ros è il pubblico ministero di Milano Antonio Di Pietro. Salvo Andò chiede a Borsellino informazioni ulteriori, pareri, consigli. Borsellino impallidisce, poi va su tutte le furie: non ne sa nulla. E’ persino imbarazzato, ma deve confessare ad Andò di essere totalmente all’oscuro dell’informativa. Il procuratore di Palermo Pietro Giammanco, destinatario ufficiale della nota riservata del Ros, non gli ha comunicato niente. Il giorno dopo, il 29 giugno, appena arrivato a Palermo, Borsellino si precipita nell’ufficio di Giammanco, e protesta: ‘Lo so bene che da una minaccia ci si può difendere poco, ma é mio diritto conoscere tutte le notizie che mi riguardano’. Borsellino urla, si indigna. Per la rabbia sferra un gran pugno sul tavolo, e si ferisce la mano. Poi la sera, quando i familiari gli domandano: ‘E Giammanco?’, Borsellino risponde: ‘Farfugliava, farfugliava qualcosa. Diceva: ma che c’entra, la competenza è di Caltanissetta”. Lucia Borsellino a tal proposito ha rivelato: “Quando papà ci parla di quell’episodio, sfoga tutta la sua amarezza. Raccontandoci di Giammanco, si chiede mille volte il motivo di quel silenzio, giungendo però alla conclusione che niente potrà giustificarlo”. Poi altra testimonianza: lunedì 13 luglio ’92, sei giorni prima della strage: “Nel pomeriggio un poliziotto della scorta guarda Borsellino in volto, lo vede preoccupato, teso, troppo teso, non può fare a meno di chiedergli: ‘Dottore, cosa c’è? E’ successo qualcosa?’. Borsellino, come se non potesse trattenersi, gli dice di botto: ‘Sono turbato, sono preoccupato per voi, perché so che é arrivato il tritolo per me e non voglio coinvolgervi’. L’agente sbianca, resta senza parole”.