La testimonianza del generale dei Carabinieri, Alberto Tersigni, conferma i connotati storici e processuali del “Sistema Montante”. Il racconto su alcune accanite pressioni ad indagare.
Innanzi al Tribunale di Caltanissetta è in corso il maxi processo sul cosiddetto “Sistema Montante”. Ed è ‘Maxi’ perché il presidente del Tribunale nisseno, Francesco D’Arrigo, nonostante il parere contrario della Procura e dei difensori degli imputati, ha riunito in un unico processo i due tronconi, con 13 e 17 imputati, dell’inchiesta imperniata sull’ex presidente di ConfIndustria Sicilia, Antonello Montante, ovvero il filone del presunto dossieraggio e della rivelazione di notizie riservate con accessi abusivi ai sistemi informatici di polizia, tramite scambi di favori ad elevatissimo livello tra le forze dell’ordine e non solo, e il filone politico, ovvero l’intreccio di interessi ruotanti intorno al governo Crocetta, in carica tra il 2012 e il 2017. Ebbene, nel corso dell’ultima udienza ha deposto come testimone il generale dei Carabinieri in pensione, Alberto Tersigni, già in servizio alla Dia (Direzione investigativa antimafia) di Palermo. E Tersigni ha raccontato di pressioni per investigare alquanto anomale e insistenti. E tra l’altro ha affermato: “La Direzione centrale della Dia faceva pressioni affinché indagassimo sull’editore e sul direttore di ‘Live Sicilia’ Giuseppe Amato e Francesco Foresta, ma anche su Pasquale Foresta, padre di Francesco. Dalle indagini non emerse nulla di particolare. A contattarmi fu Nicolino Pepe che era alla Dia di Roma a capo della prima divisione del secondo reparto investigazioni giudiziarie. Mi dissero di fare una scheda identificativa in maniera celere. Emersero pochissime notizie, stringate, e non c’erano elementi significativi per avviare un’indagine. Venni contattato anche dal colonnello Giuseppe D’Agata (che è attualmente imputato nel processo) per dirmi che la direzione centrale non era contenta poiché le notizie raccolte erano troppo stringate. Venne poi il colonnello Nasca dicendomi che dal capocentro aveva ricevuto la richiesta di verificare se vi fossero, nei confronti di Amato e Foresta, elementi per una misura patrimoniale ma anche in questo caso emerse che non c’erano elementi. Nonostante questo, le pressioni da parte degli uffici centrali continuavano. Mi venne chiesto di preparare una richiesta per avviare delle intercettazioni, ma non c’erano elementi. Poco dopo D’Agata mi comunicò che un pubblico ministero della Procura di Palermo era interessato perché i nomi di Foresta e Amato erano emersi in un’indagine. Le intercettazioni durarono da marzo ai primi di giugno. Anche in questo caso non emerse nulla. Abbiamo poi chiuso le indagini d’intesa con l’autorità giudiziaria”. La testimonianza di Tersigni conferma nella sua fondatezza la tesi della Commissione regionale antimafia in carica nel corso della legislatura Musumeci, espressa, in una relazione a conclusione di serrate audizioni, dal presidente Claudio Fava, che ha definito il “sistema Montante come un governo parallelo che per anni ha occupato militarmente le istituzioni regionali, anche in nome dell’antimafia”. Antonello Montante avrebbe allestito una rete di spionaggio non solo per tutelare se stesso ma anche come cinghia di trasmissione di un vortice di interessi, tra favori agli amici (politici, imprenditori, forze dell’ordine e dei servizi segreti, professionisti, magistrati, esponenti delle Istituzioni) e ricatti, con dossier e vessazioni di vario genere a danno dei nemici, gli ostacoli, i non allineati al “sistema”. Tra i destinatari dei dossier orditi nell’ambito del “Sistema” vi sono stati (e non sono tutti) Alfonso Cicero, già a capo dell’Istituto regionale per lo sviluppo delle attività produttive, Davide Durante, ex presidente di Confindustria Trapani, Gioacchino Genchi ex poliziotto, l’ex senatore Pd Vladimiro Crisafulli, l’ex assessore all’Economia, e avvocato, Gaetano Armao, i collaboratori di giustizia Carmelo Barbieri, Pietro Riggi e Aldo Riggi, l’ex presidente del consorzio Asi di Caltanissetta Umberto Cortese, l’ex direttore di Confindustria nissena Tullio Giarratano, l’ex assessore regionale ai Rifiuti, e magistrato, Nicolò Marino, i giornalisti Giampiero Casagni e Attilio Bolzoni.