Dopo la sentenza assolutoria della Cassazione al processo “trattativa”, l’intervento a commento del legale della famiglia Borsellino, l’avvocato Fabio Trizzino.
L’avvocato Fabio Trizzino, legale della famiglia del giudice Paolo Borsellino e marito di Lucia Borsellino, la figlia maggiore del magistrato ucciso in via D’Amelio, commenta a freddo la sentenza della Cassazione nell’ambito della cosiddetta “trattativa” che ha definitivamente assolto gli ufficiali dei Carabinieri del Ros Mori, Subranni, De Donno e l’ex senatore Marcello Dell’Utri. La moglie di Paolo Borsellino, Agnese, ha raccontato: “Sabato 18 luglio 1992 mi confidò che non sarebbe stata la mafia a ucciderlo, della quale non aveva paura, ma sarebbero stati i suoi colleghi e altri a permettere che ciò potesse accadere”. L’ex magistrato Massimo Russo ha raccontato: “Un mese prima di morire Paolo Borsellino appariva come trasfigurato, senza più sorrisi. Era provato, appesantito, piegato. Da poche settimane la mafia aveva ucciso il suo amico Giovanni Falcone nel massacro di Capaci, e lui continuava a lavorare nel suo ufficio di procuratore aggiunto a Palermo, che però considerava ‘un nido di vipere’. Io gli chiesi: ‘Come va in Procura’. E lui rispose: ‘Qui è un nido di vipere”. Fabio Trizzino trae spunto da ciò e afferma: “Adesso è arrivato il momento di concentrarsi sul ‘nido di vipere’ di cui parlava Paolo Borsellino… Si sono persi tanti anni preziosi. Ora, finalmente, c’è spazio per la verità storica. Hanno tentato in tanti modi a spiegare l’accelerazione della strage di via D’Amelio, pur di non guardare altrove. E’ giunto il momento di capire perché non si volle guardare a quello che Borsellino voleva fare e alle terribili difficoltà che incontrò dentro la Procura di Palermo. C’è spazio per una verità storica e per l’accertamento di eventuali recenti depistaggi sul tema del difficile periodo di Borsellino in quella Procura retta da Pietro Giammanco. In tutti questi anni si è sempre cercato di spiegare l’anomala accelerazione della esecuzione della strage di via D’Amelio facendo voli pindarici: prima inserendo Bruno Contrada sul luogo della strage, poi prospettando in qualche modo che Paolo Borsellino avesse saputo di questa trattativa e che si era messo di mezzo ostacolandola, e che per questo muore. Sono tutti tentativi, in qualche modo, per non guardare a ciò che stava facendo e a ciò di cui si stava occupando, e quello che stava accadendo all’interno della Procura”. Poi l’avvocato Trizzino aggiunge più nel dettaglio: “Cito l’interesse che Borsellino mostrava sul dossier mafia e appalti, tanto è vero che il giudice incontrò segretamente Mori e De Donno per dare sfogo a quel rapporto. Nel frattempo c’era stata la famosa archiviazione del dossier del 13 luglio 1992, pochi giorni prima della strage di via D’Amelio. E’ giunto il momento di andare a guardare lì cosa è successo, e se ci sono state manovre depistatorie anche recenti per riuscire ad allontanare il focus dell’attenzione dal nido di vipere”. E conclude: “Evidentemente qualcuno ci ha lavorato…”.