L’inchiesta “Matteo Messina Denaro”: altri pizzini, messaggi vocali e intercettazioni emergono dalle indagini in evoluzione. I dettagli.
Oltre a quanto scritto nei pizzini – sequestrati nel covo di Matteo Messina Denaro in vicolo San Vito 4 a Campobello di Mazara, a casa della sorella Rosalia in via Alberto Mario a Castelvetrano e nella casa di campagna di lei, in contrada Strasatti, a Campobello di Mazara – dalle indagini sono emersi adesso altri messaggi vocali di Matteo Messina Denaro diretti alle amiche sue colleghe di chemioterapia alla clinica “La Maddalena” a Palermo. In uno dei messaggi, il boss, che probabilmente si spaccia per venditore ambulante forse di prodotti agricoli, si riferisce ad una ipotetica figlia, una delle sue figlie, tale “Lavinia”, e afferma: “Io non lavoro più, è vero. Però mi sono reso conto in questo periodo che l’imbelle o l’ebete, alias mia figlia, non ne capisce niente di mercato e di vendite. Non ne capisce proprio un cazzo. Forse capisce solo il cazzo, è questo il punto. E quindi devo essere io che la sto coadiuvando per cercare di insegnarle cosa fare. Perché questo è lo scotto che si paga al fatto che non sono mai state con me sul lavoro. Quindi io ufficialmente non lavoro più, non vado più in nessuna fiera. Però ancora oggi la devo consigliare perché la vedo che non è in grado. Non sa sfruttare le situazioni. Io sono uno che se posso guadagnare 10 guadagno 10. Lei invece se può guadagnare 10 guadagna 2”. E poi, in una conversazione in onda a “Non è l’Arena” di Giletti su La 7, il titolare di un ristorante racconta al suo interlocutore che Matteo Messina Denaro e alcuni agenti della Dia, la Direzione investigativa antimafia, hanno mangiato in tavoli vicini. Ecco il dialogo: “Lui era seduto qua, l’ho riconosciuto per la fisionomia, e in un tavolo vicino c’era pure la Dia. Io ogni giorno ho la scientifica e la Dia a mangiare qua”. E l’interlocutore replica: “Lei mi sta dicendo che Messina Denaro…”. E il ristoratore risponde subito: “Sì, mentre lui stava qui, loro anche. Sono quattro o cinque e vengono a mangiare a giro. Figuriamoci se Messina Denaro con la sua esperienza non sa chi siano. Li conosce per forza”. E poi, ancora tra i pizzini, in uno scritto da Messina Denaro alla sorella vi è una sorta di “manifesto” di Cosa Nostra: “Essere incriminati di mafiosità, arrivati a questo punto, lo ritengo un onore. Siamo stati perseguitati come fossimo canaglie, trattati come se non fossimo della razza umana. Siamo diventati un’etnia da cancellare. Eppure siamo figli di questa terra di Sicilia, stanchi di essere sopraffatti da uno Stato, prima piemontese e poi romano, che non riconosciamo. Siamo siciliani e tali vogliamo restare. Le istituzioni hanno costruito una grande bugia per il popolo: noi il male, loro il bene. Hanno affamato la nostra terra con questa bugia. Ogni volta che c’è un nuovo arresto si allarga l’albo degli uomini e donne che soffrono per questa terra. Si entra a far parte di una comunità che dimostra di non lasciar passare l’insulto, l’infamia, l’oppressione, la violenza. Un giorno, ne sono convinto, tutto ciò ci sarà riconosciuto e la storia ci restituirà quello che ci hanno tolto in vita”. E poi una riflessione di sociologia mafiosa: “Non ci sono più persone come mio padre. Quel genere di persone è sparito per sempre”.