Matteo Messina Denaro interrogato in carcere dai magistrati della Procura di Palermo: dalle risposte nessun contributo di rilievo alle indagini. L’evoluzione dell’inchiesta.
Matteo Messina Denaro è stato interrogato per oltre un’ora dai magistrati. Nel carcere de L’Aquila “Le Costarelle”, dove è detenuto al 41 bis, ha ricevuto la visita del procuratore di Palermo, Maurizio De Lucia, e dell’aggiunto Paolo Guido. All’interrogatorio è stata presente anche l’avvocatessa Lorenza Guttadauro, nipote del boss che l’ha scelta come suo difensore. Poi, fuori, il dottor Guido ha solo affermato: “Matteo Messina Denaro sta bene, è in totale isolamento senza contatti con nessuno ed è curato nel migliore dei modi”. Le risposte del boss non avrebbero reso alcunché di rilievo, ed ecco perché il confronto si è protratto poco tempo e il verbale non è stato secretato. Probabilmente i magistrati hanno tentato di approfondire il tema delle protezioni, la rete di complicità che emerge dalle indagini e che è stata cucita per 30 anni intorno all’ex superlatitante. In tale ambito sono stati già arrestati l’agricoltore Giovanni Luppino, il geometra Andrea Bonafede, il cugino omonimo, l’ operaio Andrea Bonafede, e il medico di base Alfonso Tumbarello. E poi altri spunti investigativi, e verosimilmente oggetto della conversazione nel penitenziario di massima sicurezza, saranno stati gli oggetti e gli appunti trovati nel covo in vicolo San Vito 4 a Campobello di Mazara. Ad esempio, le tracce di presenze femminili, i biglietti aerei, e poi indicativa sarebbe anche una dedica scritta in un portachiavi trovato in tasca a Messina Denaro il giorno dell’arresto. La persona che glielo ha regalato ha inciso la frase: “L’uomo, il mito, la leggenda sei tu”. Nel frattempo Matteo Messina Denaro ha finora rinunciato a rispondere ‘presente’ (in video – collegamento) all’appello nei processi in cui è imputato. E’ stato assente all’udienza sulle stragi del ’92, per le quali è stato condannato all’ergastolo in primo grado come mandante, e allo stesso modo non ha partecipato al processo frutto dell’inchiesta antimafia “Xydi”, che ha confermato i rapporti storicamente intessuti dal boss con la provincia agrigentina. Ciò che è emerso nel primo mese dopo l’arresto è dunque che Matteo Messina Denaro è un “irriducibile”, e che, pertanto, i magistrati scaveranno ancora senza alcun sostegno collaborativo nel terreno solcato dal boss durante la trentennale latitanza. In riferimento a ciò il procuratore di Palermo, Maurizio De Lucia, ha già spiegato: “Abbiamo diverse fasi di indagine in corso. Innanzitutto su chi lo ha protetto oggi, cioè chi gli ha consentito di vivere in un luogo relativamente tranquillo e di curarsi. Si tratta di un breve periodo, perché è noto che quella casa di Campobello è nella sua disponibilità da circa un anno. Poi c’è il grosso del lavoro, cioè ricostruire i 29 anni precedenti. E’ evidente che 29 anni di latitanza più uno, non si fanno solo in quel territorio. Noi lo abbiamo trovato lì perché aveva bisogno di stare lì, ma non è affatto detto che si sia mosso soltanto in quel territorio. Ed è chiaro che ha goduto di appoggi che non sono solo quelli della cosiddetta mafia militare. L’ambiente trapanese è da sempre permeato di rapporti fra mafia e pezzi di ambienti che io chiamo genericamente della borghesia mafiosa, ma lo faccio per non dare specificazione ad elementi che invece riguardano particolari settori, dall’imprenditoria al mondo della sanità. E certamente va considerato che la provincia di Trapani è la seconda in Sicilia, dopo quella di Messina, per presenza di logge massoniche. Tutti questi elementi ci inducono a spingere i nostri accertamenti e le nostre verifiche fra il materiale che abbiamo e la rilettura di quello che avevamo: è quello che contiamo di fare adesso”.