Usura e mafia tra Villabate e Bagheria: il Tribunale di Palermo condanna 10 imputati, tra cui un avvocato poi collaboratore, nell’ambito dell’inchiesta “Araldo”.
Il giudice per le udienze preliminari del Tribunale di Palermo, Clelia Maltese, a conclusione del giudizio abbreviato, ha condannato 10 imputati nell’ambito dell’inchiesta cosiddetta “Araldo”, sostenuta dai Carabinieri e dalla Guardia di Finanza, ruotante intorno a dei presunti usurai, “cravattari” che sarebbero stato favoriti dalla complicità di una funzionaria di “Riscossione Sicilia”. Lei, a conoscenza degli imprenditori in grave crisi economica, li avrebbe segnalati agli avvoltoi, cosicché loro piombassero sulle prede. Prestiti e tassi usurari al minimo del 140 per cento l’anno: e se poi non avessero pagato il debito, allora sarebbero intervenuti i “picciotti” del clan mafioso di Bagheria. Tra i condannati vi è l’ex avvocato Alessandro Del Giudice, 54 anni, che nel frattempo ha collaborato con i magistrati, al quale sono stati inflitti 5 anni e 2 mesi di reclusione anche per concorso esterno in associazione mafiosa ma con il riconoscimento delle attenuanti riservate ai collaboratori. Poi Giuseppe Scaduto, 76 anni, presunto capomafia di Bagheria, è stato condannato ad 1 anno di carcere e gli è stata restituita la libertà. Poi 5 anni e 8 mesi a Giovanni Di Salvo, 43 anni, ritenuto il capo della banda, 3 anni e 4 mesi all’imprenditore Simone Nappini, 50 anni, poi 3 anni e 2 mesi a Gioacchino Focarino, 70 anni, poi 2 anni e 8 mesi ad Antonino Troia, 58 anni. E poi hanno subito lievi condanne Giovanni Riela, 49 anni, 1 anno e 8 mesi, Antonino “Gino” Saverino, 67 anni, 6 mesi, Vincenzo Fucarino, 78 anni, 6 mesi, e Atanasio Alcamo, 46 anni, 4 mesi. Un solo imputato è stato assolto, Antonino Fiorentino. Nel processo l’associazione “Addiopizzo” ha assistito una vittima di usura che si è costituita parte civile e ha ottenuto un risarcimento di 4mila euro. L’avvocato Del Giudice sarebbe stato in collegamento con la funzionaria di “Riscossione Sicilia”, G V sono le iniziali del nome, che gli avrebbe fornito tutte le indicazioni su una quindicina di contribuenti in relazione ai loro debiti col fisco, ovvero le vittime a cui proporre i prestiti. “Io produco, me ne dai 2mila e produco 6mila”: così si vantava, intercettato, l’avvocato Del Giudice. Ed un suo stesso presunto complice, Simone Nappini, lo definiva “un delinquente”. L’avvocato Del Giudice è stato coinvolto anche in un’altra inchiesta, la “Gioielli di famiglia”, da cui è emerso che sarebbe stato l’emissario del boss Pietro Formoso, trasferendo all’esterno del carcere anche i suoi “pizzini”.