Giuseppe Ayala: “Falcone mi disse: stai attento a Contrada”. I retroscena dell’interrogatorio del magistrato al processo per il duplice omicidio Agostino – Castelluccio.
Innanzi alla Corte d’Assise di Palermo, presieduta da Sergio Gulotta, con Monica Sammartino giudice a latere, è in corso il processo ordinario per il duplice omicidio del poliziotto Antonino Agostino e della moglie, Ida Castelluccio, incinta di due mesi, assassinati il 5 agosto del 1989, a Villagrazia di Carini, frazione di Carini, in provincia di Palermo. Ebbene, è stato ascoltato l’ex magistrato Giuseppe Ayala, tra i più stretti collaboratori di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Ed Ayala, tra l’altro, ha risposto a domande sui suoi rapporti con Falcone, Bruno Contrada e Arnaldo La Barbera. E ha affermato: “Io e Giovanni Falcone parlammo del delitto Agostino e rimanemmo impressionati. Non conoscevo personalmente l’agente Agostino ma l’idea di questo giovane ucciso assieme alla moglie, tra l’altro incinta, ci sconvolse. Commentammo assieme la notizia. Noi, purtroppo, avevamo alle spalle una lunga serie di delitti che ci avevano anche toccato da vicino, a partire da Rocco Chinnici e Ninni Cassarà. Questo omicidio Agostino ci colpì molto sul piano umano. Ricordo che ci siamo guardati chiedendoci: ‘Chi c’è dietro? Perché lo hanno ammazzato?’ Ci fece un’impressione tremenda commentando l’accaduto”. E poi in riferimento al fallito attentato contro Falcone durante il soggiorno nella villa al mare all’Addaura, Giuseppe Ayala ha raccontato: “Quando all’Addaura un agente di scorta di Falcone sventò l’attentato trovando il borsone sugli scogli io ero a casa. Una volta individuato il pericolo Falcone fu caricato su un’auto blindata e andò al palazzo di giustizia. Quella mattina mi chiamò per dirmi: ‘Senti Peppì quando arrivi al palazzo di giustizia passa prima da me’. Una volta arrivato nella stanza di Falcone mi raccontò quello che era successo. Non si avevano le idee chiarissime sull’accaduto, anche perché credo che ancora non fossero stati trovati i famosi 58 candelotti di dinamite rinvenuti con accertamenti successivi, ma questa scoperta fortemente sospetta della borsa da sub era un dato acquisito. Dialogando con me mi disse: ‘Questa non è solo mafia. Qua ci sono dei poteri collusi con il fenomeno mafioso’. Giovanni Falcone era un uomo notoriamente coraggioso ma questa vicenda lo preoccupò”. E poi, sollecitato sull’ex dirigente dei Servizi segreti del Sisde, Bruno Contrada, Giuseppe Ayala ha dichiarato: “Mi colpì molto che dopo l’uccisione del Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa fu istituito l’Alto Commissario della lotta contro la mafia. E il primo Alto Commissario era il Prefetto De Francesco che nominò suo capo-gabinetto il dottor Bruno Contrada, che aveva lavorato per anni in Polizia ma che io non conoscevo. Una mattina il dottor Contrada, assunta la veste del capo-gabinetto dell’Alto Commissario, venne alla Procura di Palermo a salutare il procuratore. Stretta di mano e saluti. C’ero anche io in quella occasione. Al palazzo di giustizia era abitudine che verso le 20 io scendessi dal secondo piano al piano terra da Giovanni Falcone a fine giornata per parlare anche di lavoro o per organizzare la serata. E io quel giorno gli raccontai che quella mattina era venuto in ufficio il capo-gabinetto Contrada per salutare. E Falcone mi disse: ‘A cura a Contrada’. Non mi motivò quella affermazione, né tanto meno io chiesi spiegazioni. Ma intendeva dire: ‘Stai attento a Contrada’. Era un segnale, ma non mi preoccupai più di tanto perché non avevo molto a che fare con l’Alto Commissario. Se fosse stato il capo della Squadra Mobile sarebbe stato diverso. C’era da parte di Falcone una preoccupazione nei confronti di Contrada. Ma non so da cosa derivasse questa diffidenza”. E poi su Arnaldo La Barbera, a capo del pool di poliziotti che si è ipotizzato abbia pilotato il depistaggio delle indagini sulla strage di via D’Amelio, Ayala ha raccontato di averlo conosciuto solo in un’occasione: “Ricordo un episodio quando lui rese servizio a Palermo e accompagnò a me e Peppino Di Lello – perché Falcone non poteva – ad una rogatoria in Inghilterra. Era l’interrogatorio di Di Carlo in carcere e La Barbera era con noi. Se la devo dire tutta io e Di Lello rimanemmo allibiti che durante l’interrogatorio La Barbera si addormentò sulla poltrona. Era la prima volta che lavorava con noi e ci meravigliò. L’interrogatorio lo faceva Di Lello e io ero il pubblico ministero che lo accompagnò, ma ci sorprese e non ci fece una bella impressione”.