Tre settembre 2022, 40 anni dopo la strage Dalla Chiesa a Palermo. L’intreccio di poteri e di interessi che decretarono la morte sentenziato dai giudici.
A Palermo la sera del 3 settembre 1982 al carcere “Ucciardone” si è brindato. E in via Isidoro Carini una mano anonima ha scritto su un cartello: “Qui è morta la speranza dei palermitani onesti”. E la stessa sera alcuni sono stati nella residenza del generale dei Carabinieri, Carlo Alberto Dalla Chiesa, per cercare lenzuoli, per coprire i cadaveri. E avrebbero approfittato per svuotare la cassaforte, dove Dalla Chiesa avrebbe custodito documenti scottanti, anche il dossier sul caso Aldo Moro. Infatti, poi i magistrati nella cassaforte non hanno scoperto più nulla. E’ un mistero, simile alla sparizione dell’agenda rossa di Paolo Borsellino subito dopo la strage in via D’Amelio. E che solleva lo spettro che a sentenziare la morte di Carlo Alberto Dalla Chiesa sia stato un intreccio di poteri. Dopo 40 anni i processi hanno scritto una verità parziale. Sono stati condannati i vertici e i sicari della Cupola: ergastolo a Totò Riina, Bernardo Provenzano e Pippo Calò, e poi ai killer Raffaele Ganci, Giuseppe Lucchese, Vincenzo Galatolo e Nino Madonia. E poi 14 anni di carcere ciascuno ai pentiti Francesco Paolo Anzelmo e Calogero Ganci. E nella motivazione della sentenza, i giudici hanno scritto: “Si può senz’altro convenire con chi sostiene che persistano ampie zone d’ombra sulle modalità con cui Dalla Chiesa è stato mandato in Sicilia e su interessi, anche nelle Istituzioni, all’ eliminazione del pericolo rappresentato dalla determinazione e dalla capacità del generale”. Dalla Chiesa nella sua ultima intervista affermò: “Un uomo è colpito quando è lasciato solo”. E si trattò del suo epitaffio sulla tomba, dopo i 100 giorni a Palermo, la sua sfida alla mafia, iniziata il 30 aprile precedente, il giorno della morte di Pio La Torre, e conclusa il 3 settembre, in via Carini, sotto i colpi dei kalashnikov, insieme alla moglie Emanuela Setti Carraro e all’agente Domenico Russo. Ai funerali, il cardinale Salvatore Pappalardo, contro l’indifferenza di Roma verso Palermo stritolata dalla mafia e la solitudine mortale di Dalla Chiesa, denunciò: “Mentre a Roma si discute, Sagunto è espugnata”.